La circostanza, vissuta senza
difese, può dare alla testa e può portare dove non si voleva finire.
Nel mio caso, a letto con
qualcuno.
Mi ero data questo dictat
assoluto e intendevo rispettarlo, a qualsiasi costo.
Quindi, quando mi arrivò la
richiesta di un giornalista per un’intervista tête à tête, fui molto decisa a respingere l’invito.
Nessun incontro personale.
Nemmeno con un articolista. Così, insistetti per avere le domande via mail e
per rispondere con lo stesso mezzo.
Le argomentazioni del mio
corrispondente furono chiare, da subito:per trattare di sesso apertamente, come
voleva fare, doveva avere certe garanzie. Ad esempio, mi disse, che fossi una
persona, uno scrittore individuale e non un gruppo di persone. Ad esempio, che
fossi veramente una donna. Ad esempio, che fossi attraente come il pubblico
immaginava. Potevo anche non rivelare il mio nome, mantenendo il mio
pseudonimo, ma mostrarmi dovevo mostrarmi. E mi avrebbe garantito la privacy
che chiedevo.
Troppe insistenze,anche se con
argomentazioni che potevo condividere. In più, mi scriveva da un indirizzo
personale, il che non mi aiutava a veder chiaro nella possibilità che mi
offriva.
Avrei fatto anch’io così.
Poi, un giorno, l’ennesima sua
email, ma con l’indirizzo di posta elettronica ufficiale della rivista per cui
scriveva.
Eh, quando lo lessi…capii che non
potevo lasciarmi sfuggire l’occasione di poter essere pubblicata su M*******,
lasciai cadere i miei dubbi e risposi immediatamente “Ok, venerdì pomeriggio,
autostrada Axx, direzione Xxxx/Yyyyy, Autogrill A**** ore 16.30. Potrei avere
la lista delle domande per prepararle?”.
La risposta arrivò in un minuto
“Appuntamento ok. No, le domande, ripeto, le devo fare di persona e in…presa
diretta. A venerdì. Sarò puntuale. Non abbiamo molto tempo se poi l’intervista
vogliamo vada in stampa per l’edizione della prossima settimana!. Buona
giornata.”.
Per i tre giorni che seguirono, studiai una strategia. Dovevo
fare colpo professionalmente, come scrittrice, cioè, e non personalmente.
Decisi, così, che mi sarei vestita con un lungo pullover e
dei leggings, sandali altiper darmi un tono e i miei orecchini pendenti
portafortuna.
Pensai a lungo e cercai anche di immedesimarmi in un
contesto, per fare subito un’impressione di intervistata esperta. Era una cosa
difficile e sempre trovavo dei punti in cui il muoversi della scollatura, un
sorriso divertito, uno sguardo di lato, potevano creare quella atmosfera maliziosa
che volevo evitare. Ero tesa e nervosa. Si avvicinava il momento e non sapevo
gestire l’imbarazzo.
Poi, prima di partire per l’appuntamento, quello stesso
venerdì, vidi per caso passare in tv lo spot dell’acqua tonica, dove la Thurman si fa intervistare
da un giornalista eccitato e imperlato di sudore che equivoca e le propone
impacciato e spudorato del sesso e lei glissa con la massima nonchalance senza scomporsi di un
capello.
Bene, a questa recita ero pronta.
Presi la macchina e in mezz’ora fui là, calcolando di
arrivare in anticipo di almeno venti minuti e ambientarmi.
Quando entrai, lo riconobbi d’istinto. Era già lì e non era
un maturo pancione sudato come me l’ero figurato. Poteva avere qualche anno
meno di me, ma non era un bamboccio, come di solito mi sembrano quelli più
giovani, anche se di poco.
Mi avvicinai al tavolino che aveva occupato, l’unico con due
sgabelli di tutto il locale.
Non mi ricordo se lo salutai o se invece gli sorrisi e
basta, porgendo la mano come Uma nello spot.
Di sicuro rimasi in silenzio per dargli modo di non perdere
tempo in (e non fare) domande indiscrete e per non perdere l’autocontrollo che
avevo guadagnato e non cadere nella mia innata timidezza.
Mi sorrise, mi squadrò come era
scontato che facesse un uomo e, aprendo la copertina dell’iPad, buttò lì la
prima domanda.
“A quale età ha avuto il primo incontro con un pene?”
L’ingenuità della domanda mi fece
sorridere. Evidentemente il giornalista affrontava una delle sue prime
interviste sull’argomento e sembrava camminare sulle uova. Decisi perciò di
dare una svolta al linguaggio, che doveva servire ai lettori per immaginare, conoscere,
creare, attuare… “La prima volta che vidi un ‘cazzo’ (chiamiamolo con il nome
che più ce lo rammenta eretto, turgido, lucido e pronto…) avevo 14 anni. Non
ero proprio una bambina e questo essere già cresciuta forse mi ha evitato
traumi che poi potevano allontanarmi dal piacere del sesso.
Era uno dei primi fidanzatini, ed
è successo in camera sua. La casa vuota, la penombra di un pomeriggio di
luglio, la radio suonava Jump dei Van Halen… non proprio il massimo del
romanticismo… Lui aveva 18 anni e ci stava provando da un po’. Ricordo che mi
girò sul letto, spostò i suoi pantaloncini da jogging e me lo infilò in bocca
senza nemmeno chiedermi se era la prima volta.”
“E come è stato il primo contatto, cosa ha provato?”
“Feci quello che dovevo fare, come
se lo avessi saputo da sempre. E non mi disgustò. Trovai solo che la
consistenza assomigliava molto alla gomma, e l’esterno liscio e lucido come la
pelle di un serpente. Da quel momento smisi di provare ribrezzo per i
serpenti…Lì per lì questo succhiare e leccare non mi rendeva partecipe. Cercavo
di immaginarmi il suo piacere…fisicamente, intendo, perché visivamente avevo
davanti il suo viso che bramava ciucciate e la sua voce che mi diceva ‘si…si,
ancora, ancora…’. Con questo pensiero, i giorni seguenti, cominciai a trovarmi
improvvisamente bagnata e allora decisi di fare io stessa la prima mossa la
volta successiva.”
"L’emozione di perdere la verginità come l’ha gestita?"
Aveva sparato lì anche la terza
domanda, senza ancora guardarmi bene in viso. Era imbarazzato? Era schifato?
Era deluso? Mah… però notavo che cercava di sedersi meglio sullo sgabello,
allargando le gambe. Con uno sguardo indifferente, buttai gli occhi sulle sue
cosce, robuste, muscolose sotto i pantaloni attillati sul femore e… si, vabbè…
anche un po’ sul cavallo. Che dire, c’ero scivolata involontariamente a dare
un’occhiata.
“Quella è avvenuta dopo. Non
avevo fretta. Fare pompini e perdermi a succhiare, leccare, masturbare era
davvero incommensurabile. Questa cosa mi è rimasta, perché se la penetrazione
mi dà un’emozione maggiore e trovo che il rapporto non si possa concludere
senza, l’eccitazione maggiore ce l’ho durante una fellatio.
Persi la verginità nel modo più
classico, stesa a terra su un tappeto a casa della sorella del mio ragazzo. Lui
tentava di tranquillizzarmi, ma ancora mi chiedo il perché. Non sentivo dolore,
era una penetrazione voluta e cercata, l’eccitazione era altissima ed alla fine
mi sembrò che fosse una cosa di cui non poter fare mai più a meno.”
"Che rapporto ha con la masturbazione?"
A questa domanda deglutì.
E io mi stupivo di non provare
nessun imbarazzo, né a ricevere le domande (che capivo si sarebbero fatte
sempre più hot) né a rispondere con dovizia di dettagli e descrizioni, come se
stessi scrivendo uno dei miei racconti.
“Penso che nella vita non puoi
aspettarti dagli altri niente di più di quello che tu stessa puoi fare. E
questo vale anche per il sesso. Se non so come gestire il mio piacere, come
posso creare i presupposti per godere dal corpo di un'altra persona? Perché,
chiaro, indirettamente indirizziamo i gesti e le iniziative degli altri in un
unico senso: quello di aumentare e perpetrare il massimo soddisfacimento fisico
e mentale… Tu mi tocchi, io sposto il mio corpo verso il punto che per me è più
erotico… tu mi baci ed io vado con il viso più giù…”.
Avevo usato il tu. Non bene,
dovevo correggere il tiro. Speravo passasse inosservato perché faceva parte di
un esempio.
“E masturbarsi davanti all’altra
persona in realtà è uno spettacolo sul ‘come ti vorrei’, sul ‘come vorrei che
mi facessi godere’…è l’estasi dei cinque sensi…la vista, per l’eccitazione
erotica che la visione del piacere sessuale dà…l’udito, perché ci si abbandona
più facilmente alle parole e ai sospiri…l’olfatto, perché gli umori che si
sprigionano portano il profumo del godimento e contemporaneamente il gusto,
perché l’odore fortissimo dei feromoni si insinua sulle papille e sulle mucose
del palato quasi a voler descrivere come sarebbe il leccare la pelle dell’altra
persona e…il tatto, perché chi guarda non tocca ma è sollecitato ad allungare
la mano e unirsi a te”
Cazzo, di nuovo il ‘tu’!
“Preferirebbe masturbarsi davanti ad un uomo o davanti ad una donna?”
Perfetto, stava usando ancora il
‘lei’… forse non se ne era accorto…
Però fissava la mia mano
appoggiata sul tavolino…per un attimo pensai stesse immaginandola a stimolare
il mio clitoride mentre a gambe aperte stavo su quello scomodo sgabello
nell’Autogrill… la mia fantasia di scrittrice di racconti erotici cominciava a
lavorare su un soggetto…ma tornai alla domanda che mi aveva fatto e risposi
senza scomporre un muscolo.
“In ogni caso sarebbero due
momenti diversi…masturbarsi per un uomo è diverso che farlo per una donna…è più
facile eccitare un uomo, che ha bisogno di gesti semplici, diretti, di gemiti
definiti e di sapere dove e come la donna sta provando piacere…masturbarsi per
una donna è diverso… ogni gesto che si fa deve idealmente arrivarle come quasi
fosse fisico e farle provare la stessa cosa, negli stessi punti, con la stessa
intensità…per una donna si deve riuscire a farla immedesimare…per una donna si
deve essere se stesse e farlo per se stesse.”. Adesso mi guardava, fisso.
Aspettava quello che non gli avevo detto “Non ho risposto, eh…? No, non ho
risposto…ma anche si…”. E sorrisi come non avrei dovuto.
"Fa uso di sex toys?"
Aveva un elenco di domande sul
notes dell’iPad. Quando finivo di rispondere, vedevo che faceva scorrere il
dito avanti e indietro forse scegliendo quella successiva… ma mi accorsi ad
tratto che quel gesto era diventato meccanico e che la direzione dello sguardo
non era sulle domande. Cercai di non verificare dove esattamente mirasse e
pensai alla risposta.
“Si”
Lui stava ad aspettare.
Mi dissi che la pausa serviva a
creare suspence. In realtà, dovendo essere sincera, serviva a me per ricompormi
e per ritrovare un po’ di lucidità La descrizione della masturbazione,
l’entrare così nell’analisi delle sensazioni, mi aveva procurato una sottile
eccitazione e sentivo i capezzoli inturgidirsi e il seno gonfiarsi nel
reggipetto. Mi sedetti meglio ed ebbi la conferma che mi avevo le mutandine
fradice. Dovetti accavallare le gambe anche per non badare alle pulsazioni che
sentivo là in mezzo. L’argomento sex toys poteva essere trattato
tradizionalmente o…a modo mio. E l’eccitazione mi portò involontariamente sulla
seconda alternativa.
“Vede… scusi, come si chiama
lei?”
“Andrea”
“Ecco, Andrea, vede…ogni sex toy replica o si adatta ad una funzione precisa. Si pensa che il sex toy serva
proprio a far volare la fantasia verso orizzonti più ampi e disinibiti. No. E’
costruito esattamente per un certo tipo di uso, efficacissimo, per carità, ma
ciò non lascia spazio alla fantasia. Preferisco che si usino degli home items…che
si possono prestare davvero a qualsiasi interpretazione. Ogni oggetto ha in sé,
infatti, una forma, una consistenza, una superficie idonea a qualche pratica
erotica…in più…sono sempre a portata di mano e non dobbiamo rinunciare di dar
corpo all’immaginazione per mancanza.”.... (continua)
Priapo: molto intigrante: aspetto con ansia la seconda parte....
RispondiEliminasmnolivieri: peccato che non è finita l' intervista.. la parte piu bella è dove dici come pretendere dagli altri se non siamo noi i primi a farlo, la penso anche io cosi..spero che continui l' intervista
RispondiEliminamiddlekick: ...brava
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