L’atmosfera che si respirava ogni
anno alla festa paesana che l’isola dedicava all’apparizione della madonna era
davvero magica. Non fosse stata per quell’afa densa e compatta che come una
maledizione appestava l’aria praticamente solo in quel periodo.
Migliaia di persone, in quelle
sere, si alternavano ai tavoli dello stand gastronomico e ai piedi del palco
dove il comitato faceva a gara per superare se stesso e ogni estate cercava di
accaparrarsi artisti sempre più noti. Senza l’afa, la sagra sarebbe stata anche
molto più frequentata ma in quel caso forse l’isola sarebbe affondata, se già
la marea di persone traboccava verso il mare e verso la laguna, intasando ogni
angolo del paesino e invadendone le spiagge di solito deserte.
Anche quell’estate, però, il
richiamo per noi era più forte del caldo, della ressa e della fila
interminabile che come ogni volta ci aveva accolto quando arrivammo all’area
dove si poteva cenare. Un’ora e oltre di attesa, le zanzare e il sudore che ci
incollava i vestiti e ci appiccicava l’un l’altro se qualcuno spingeva, era
liquido infiammabile per gli animi.
Stavamo guadagnando ormai il
tavolo delle ordinazioni e quasi alle dieci di sera speravamo di riuscire a
mangiare qualcosa. Un gruppo di isolani, cercando di raggiungere gli amici del
comitato, ci superò proprio all’ultimo. Inutile ogni tentativo di riportare
l’ordine nella fila e il gruppo, anche abbastanza numeroso, ci era passato
davanti. Era stata accesa la miccia. Mio marito sapeva che il non riuscire ad
ottenere ragione del diritto di precedenza così strenuamente difeso per tutta
la sera, era per me un affronto insopportabile e che il caldo dava alla testa.
Così lo vidi farmi cenno di smettere quando insistetti nel chiamare,
bussandogli alle spalle, l’uomo alto e muscoloso che aveva forzato la fila. Il
resto fu un attimo, il mio atteggiamento aveva irritato l’energumeno che si
voltò e mi prese per il collo. Io mi sentii minacciata e gli misi una mano al
cavallo dei pantaloni stringendogli in una morsa le palle.
Ci guardammo per un attimo fissi
negli occhi, senza vedere nient’altro che la volontà di sopraffare l’altro e
senza sentire niente se non le nostri parti vitali nelle mani dell’altro, lui
il mio collo liscio e indifeso, io i suoi genitali turgidi e tesi, che ad ogni
stretta si indurivano e si gonfiavano sempre di più.
La rissa era sicura, così mio
marito intervenne e mi trascinò via.
Fece benissimo, perché insieme
all’uomo che mi aveva afferrata, si erano affiancati anche altri due facinorosi
e il mio consorte non era certo un tipo da mischie.
Così, ci decidemmo a cenare in un
ristorantino del posto, litigando per tutto il tempo sull’accaduto e poi ci
incamminammo verso casa, bisticciando sempre più animatamente, con lui che
camminava avanti e mi battibeccava ed io dietro che rispondendo infastidita e
perdevo ad ogni metro terreno.
Ad un certo punto, cercai un modo
per non averlo più davanti a me e cambiai strada, andando verso la spiaggia. Il
mare riusciva sempre a calmarmi ed avevo intenzione di fermarmi un po’ e poi tornare
a casa calma e con la mente serena.
Ma i pensieri e il rammarico di
aver sprecato una bellissima serata con mio marito mi portarono molto in là con
la meditazione e non mi accorsi che stava facendosi notte fonda.
Ad un tratto, mi sentii afferrare
per le spalle e qualcosa di duro premermi sulla nuca. Pensai ad un’arma, ma poi
sentii la ruvidità del jeans sulla pelle e cercai di voltarmi per baciare mio
marito.
Non era lui, ma l’uomo della
rissa.
Pensai di essere spacciata, me ne
potevo prendere di santa ragione e mi aspettai lì per lì anche una violenza,
sapendo di avergli ben stretto palle e cazzo e non certo con dolcezza.
Mi alzò, mi girò e mi guardò
negli occhi. “Non male, la presa” mi disse, ma non vedevo intenzioni
minacciose. Dalla parlata, era uno del posto. Si era cambiato. Non aveva più
camicia e pantaloni eleganti, ma una t-shirt ed un paio di jeans portati con
gli infradito. Dalle forme muscolose del corpo che risaltavano da quel vestire
casual, capivo che era un pescatore o un operaio dei cantieri navali.
Mi prese nuovamente per il collo
ed io pensai che fosse arrivata la fine.
Invece, stringendo senza farmi
male, mi portò il viso vicino al suo e spudoratamente mi baciò, prima
dolcemente, poi sempre più appassionatamente, fino a invadermi del tutto la
bocca con la lingua e a mordermi le labbra sempre più voracemente.
In quegli istanti, non capii più
niente e mi lasciai trasportare da quella passione improvvisa e contrastante con
il timore provato, come se quell’uomo fosse il mio salvatore da un lui stesso
carnefice.
Le sue mani rovistarono sotto il
mio vestito leggero e scoprirono subito che non portavo biancheria intima. Era
un gioco che facevo quando uscivo a cena con mio marito, nella speranza che la
serata prendesse una piega passionale, come più di qualche volta accadeva.
Sorrise malizioso e mi infilò una
mano tra le gambe, dove non potevo mentire. La situazione, lui, le sue braccia
muscolose che mi stringevano in una morsa e non mi avrebbero dato modo di
ribellarmi nemmeno se l’avessi voluto, il mare che si infrangeva negli anfratti
degli scogli e tra i frammenti di conchiglie che formavano un tappeto sulle
spiaggette, il buio quasi totale della notte riempita del profumo delle
tamerici e degli ultimi suoni della festa, il ricordo di quella stretta sui
suoi genitali turgidi e gonfi, tutto mi eccitava terribilmente ed ero bagnata e
calda, con la vagina pulsante che aspettava solo di essere penetrata.
Invece mi spinse giù all’altezza
del cavallo dei pantaloni e si aprì la patta.
“Faresti bene a chiedergli scusa,
con un lungo e appassionato bacio, bella”. Presi la sua verga in bocca e
cominciai il miglior pompino che mi fosse mai riuscito ....
...Leggi il seguito su "I RACCONTI DELLA NOTTE" (euro 15,00 + spese di spedizione) acquistabile con ordinazione a: tintrigo@libero.it
...Leggi il seguito su "I RACCONTI DELLA NOTTE" (euro 15,00 + spese di spedizione) acquistabile con ordinazione a: tintrigo@libero.it
Nessun commento:
Posta un commento