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giovedì 12 settembre 2013

Un’estate calda e depravata (due)



Dopo il rapporto orale con la scusa del giro sulla Ferrari, sapevo che non avrei avuto scampo.
Mancava un mese all'inizio dell'ultimo anno delle superiori, mi ero trovata un lavoretto giusto per passare il tempo e il caldo e la noia erano insopportabili.
Nessuno dei miei amici era a casa. Chi nella villa al mare, chi nello chalet in montagna, chi in barca a vela in una summer school, chi ad imparare l'inglese in Inghilterra.
Io, l'unica a passare l'estate con i miei in attesa che finissero la casa, alla quale dedicavano ogni energia ed ogni attimo di tempo.
Mi annoiavo a morte, non sopportavo il silenzio che si creava in casa quando ognuno poi se ne stava per conto suo al riparo dalla calura del dopo pranzo ed io attendevo solo le 17 per aprire il negozio presso il quale sostituivo la commessa in ferie. Tutto il mese d'agosto, mi avevano presa.
Io speravo in una proroga anche per la prima settimana di settembre.
Il pensiero di quel sesso consumato in macchina, senza tanti preamboli, mi perseguitava. Non avevo avuto il tempo di dire no, ma... l'avrei detto? Non so, le dita che mi allargavano la bocca perché non facessi resistenza alla grossa cappella già pronta che mi si infilò in bocca, erano la parte migliore del ricordo perché mi davano la sensazione che il resto non fosse stato una scelta.
Eppure, ogni volta mi bagnavo e mi accarezzavo la vagina lentamente al solo pensiero.
Non avevo mai il coraggio di finire, perché, pensandoci, quel pomeriggio aveva goduto fino in fondo solo lui.
E dai, e dai... il pensiero si fece azione.
Così, il martedì successivo, presi la mia bicicletta sotto il sole delle due del pomeriggio e incurante del caldo, passai dall'officina per vedere se c'era già qualcuno dentro. Cercavo lui, ma non sapevo se per dirgliene quattro, ricattarlo o sottostare ancora alle sue voglie.
Mi aprì sorridendo, con le mani sporche di unto del motore, una pesante tuta blu addosso, tutta chiazzata di sudore.
"Bentornata" disse guardandomi il petto già grondante dopo la corsa in bicicletta "Si vedono i capezzoli, li hai duri. Quindi non sei qui per protestare. Bene, mettiti là" e mi indicò uno sgabello basso in un angolo afoso dell'officina. "Racconta, quanto ci hai pensato, fresco fiore? Vuoi un caffettino che ci mettiamo dentro la panna?" e si toccava il pacco.
Tentai di dire che ero lì perché mi fosse resa quella parte di piacere che non avevo avuta, ma pensai che alla fine non cambiava nulla rispetto al motivo per cui ero lì... il sesso con quell'uomo, un sesso fatto di esperienze che mi andava di fare per mio bagaglio personale... esperienze da ripetere o evitare, una volta conosciute, ma che andavano fatte per prendere tali decisioni.
Quel pomeriggio si limitò a sbattermi in un angolo seduta sullo sgabello, mettermelo in bocca e, appoggiandosi al muro, scoparmi senza sosta fino in gola.
Venne in un bicchiere sporco di birra e mi fece bere il tutto 'alla nostra salute'.
Ritornai fino all'inizio della scuola, quasi ogni giorno.

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