(Erotic Hands Pianting by Anthony Christian 2012)
Mi
ero sempre domandata perché di pomeriggio e non la sera, perché di lunedì e non
il fine settimana, perché con la luce naturale e non la penombra.
Prima
o poi l’avrei saputo, mi dicevo, sicuramente le scelte portavano a scoprire una
fidanzata, un week end impegnato con l’amore, il rifuggere da situazioni
sensuali per non scivolare nel romantico. Se mai ce ne potesse essere traccia,
in quell’uomo dalle fantasie lascive e dominatrici.
Mi
aveva detto di scendere le scale, di non prendere l’ascensore, di fare i
gradini lentamente e di percorrere tutte le rampe in su e in giù finché non lo
avessi incontrato, senza mai scendere, però, più sotto del quarto piano.
Così
feci, per infinite volte. Sentivo le gambe affaticarsi sempre di più perché il
condominio portava dieci piani e venti rampe da dieci scalini ciascuno.
Ascoltavo i rumori e ad ogni porta che si apriva ma non incontravo mai nessuno.
Sopra il terzo piano nessuno usava le scale. L’ascensore era perennemente
impegnato e l’unico rumore oltre a quello delle serrature e dei suoi passi
erano le cinghie di trasmissione della cabina dell’elevatore.
Potevano
essere quasi due ore che attendeva, salendo e scendendo gradini.
L’ordine
era quello e quell’uomo non poteva essersene dimenticato.
Sapevo
che però se mi avesse colta a disobbedire, non avrei avuto in cambio niente,
quel pomeriggio. E a me questi incontri cominciavano a mancare come l’aria,
anche se non lo avrei ammesso nemmeno a me stessa.
Improvvisamente
– e potevano ormai essere le sette o le otto della sera - mentre salivò tra il
settimo e l’ottavo piano, mi sentii afferrare ed un braccio attorno al collo mi
impedì di voltarmi di scatto.
Era
lui. Riconoscevo il suo odore, un profumo intenso di maschio, di ormoni
maschili che permeavano tutta la sua persona, in effluvi che, ne erao conscia,
percepivo solo io, donna eccitata e disponibile, ma anche sempre più attratta
da quello che era diventato il mio condomino preferito.
Quando
passavo davanti alla sua porta, dovevo trattenere la curiosità. Di origliare,
di nascondermi dietro l’angolo delle scale e spiare, di annusare profumi.
Scendemmo
tre rampe di scale, lui spinse la porta che, uscendo, aveva lasciato socchiusa
ed entrammo.
Nel
salotto in penombra c’erano soli uomini, alcuni in piedi, alcuni seduti sugli
alti sgabelli davanti ad un mobile bar, sgranocchiavano salatini, gustavano
tartine e bevevano un aperitivo, due, vide che continuavano a versare.
Erano
state accese delle lampade da terra e alcune appliques a luce soffusa,
l’atmosfera stavolta era meno cruda. Ma le intenzioni sembravano più spinte.
Gli uomini questa volta erano cinque, oltre al padrone di casa.
Mi
si avvicinò un giovane, che aveva già la patta aperta e il membro tesissimo
fuori. Lo teneva ben direzionato con una mano verso di me. Il padrone di casa,
mi spinse ad inginocchiarmi e a iniziare subito quello che sapevo di dover fare
ormai senza che me lo ordinassero.
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