DOPOTUTTO OGGI E’ UN ALTRO GIORNO
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La storia qui svelata e' una storia vera, raccontatami dai due protagonisti, che ne hanno approvato la stesura e la pubblicazione.
La storia qui svelata e' una storia vera, raccontatami dai due protagonisti, che ne hanno approvato la stesura e la pubblicazione.
La vicenda si svolge a partire dal febbraio 1983 ad Adria, un’allora vivace cittadina del Polesine, terra tra il fiume Adige e il fiume Po e che in quegli anni si presentava così
I nomi, le professioni, i legami familiari che potevano portare ad identificare i personaggi principali, sono stati modificati per consentirne la privacy.
Capitolo II
Vita Spericolata.
Il lunedì mattina la gente stava ancora a
chiedersi dove fosse finita la domenica, fatta di Messa nella Cattedrale, di
saluti e convenevoli all’uscita, di cabaret di paste prese in fila nelle
pasticcerie sovraffollate del centro e in più dopo interminabili attese se si
decideva di prenderle in quella che veniva considerata la migliore, un
minuscolo laboratorio dove più che dall’esposizione si sceglievano i dolci
dall’aroma che profumava anche le vie vicine.
Una domenica dove il pranzo con la
famiglia allargata a genitori, fratelli e nipoti era sempre di almeno tre
portate che finivano dopo il caffè in un pomeriggio sonnolento e silenzioso
davanti alla tv di Domenica In, con i bambini più grandi e i ragazzi spediti al
Cinema dai Frati o al Massimo, secondo le disponibilità per il costo del
biglietto e l’apertura d’idee della famiglia.
Al Politeama, no, non più. Avevano
cominciato a buttarsi nel limbo dei film della commedia sexy all’italiana che
offendevano la morale delle madri e non soddisfacevano i padri dei ragazzi
maschi più grandi, che preferivano pensarli al Cinema Roma, dove invece i film
erano più espliciti.
La sera, aggrappati agli ultimi sussulti
del fine settimana, ci si illudeva di appartenere ad una cerchia di relazioni
sociali passeggiando in flussi controllati in corsie opposte su e giù per la Strada Grande , a
lucidarne il porfido o sui marciapiedi lungo le serrande ben chiuse dei negozi
e sotto lampioni affievoliti, salvo fermarsi doverosamente con altre coppie,
altri gruppi, altri conoscenti per non mancare di rinsaldare sodalizi e
immagine pubblica.
Così, il lunedì mattina, appesantiti anche
dalla cena che seguiva quella sfilata di riverenze reciproche, gli occhi erano
in cerca di novità.
Elena accompagnò Laura e Diego alla scuola
elementare, mentre negli edifici accanto frotte di ragazzi entravano per le
lezioni.
Liceo e scuole professionali l’uno accanto
all’altro, lei lo aveva considerato un segno dei tempi che cambiano, una coda
del ’68, una concessione agli anni di piombo.
Non stava bene la vicinanza di gruppi di
ragazzi appartenenti a classi sociali così diverse, avrebbe potuto divenire un
alibi per contestazioni durante gli scioperi o, al contrario, una breccia
nell’ordine sociale.
Così, era solita accompagnare fin dentro
l’edificio scolastico i suoi due figli più grandicelli, tenendo l’altro più
piccolo ben stretto per mano.
Nel piazzale davanti alla palestra, il
solito vociare indistinto e gruppi di adulti, ragazzi e bambini che andavano e
venivano da e verso i diversi plessi. Mentre tentava di farsi largo per
oltrepassare quel muro umano, fu indotta a spostarsi per l'arrivo di un'auto
dalla quale stava scendendo affannato un ragazzo.
La novità che cercavano i suoi occhi quel
lunedì era lì, al volante, ed era la più inconfessabile.
Pensò si trattasse di un'infantile
interpretazione, di un volo di fantasia, della sua fervida immaginazione, ma
Antonio la stava fissando malizioso in cerca di uno sguardo complice.
Gli sorrise, sfrontata, con uno sguardo
carico di promesse.
Riprese la sua Ritmo, trovò un posteggio
dove lasciarla tutta la mattina e proprio davanti all’asilo, tanto che fece in
tempo a scambiare anche più di un bacio con Bobby e un saluto civile con la
suora.
La settimana si era aperta bene, la
giornata sembrava promettente. Due passi, la fermata all’edicola e ora si
meritava un buon caffè senza fretta.
Riuscì ad aprire l’ufficio puntuale e a
sistemarsi i capelli gonfi e ricci davanti allo specchio, prima che il telefono
cominciasse a squillare insistente come tutti i lunedì.
“Ma che succede a questa gente, nel fine
settimana?” si disse mentre salutava un cliente al quale aveva dovuto dire che
l’Avvocato sarebbe arrivato tardi, quella mattina. Ed ecco il telefono trillare
di nuovo, mentre lei non riusciva a concentrarsi sulla pratica del nuovo
cliente, che voleva rivedere ancora per non lasciare alcun errore e, ma questo
non lo confessò mai chiaramente, per fare con lui bella figura.
Stanchissimo e assonnato, Antonio sarebbe
andato dritto a letto.
Era tornato solo due ore prima dopo aver
guidato praticamente due giorni, Italia Danimarca e ritorno, e suo figlio aveva
voluto che lo accompagnasse a scuola.
Tanto doveva andare dall’avvocato, si era
detto, e sarebbe stato inutile andare a dormire, per poi alzarsi incosciente e
rischiare di non capire nulla di quello che gli si spiegava della causa.
Così, aveva deciso che si sarebbe fermato
fuori, letto il giornale e bevuto un caffè al bar.
Al Centrale l’atmosfera era sempre
accogliente, così si fermò anche più a lungo, prendendo un espresso doppio e
facendo anche il bis.
Il Gazzettino del lunedì era formato da
sole quattro pagine di notizie ed il resto, con le pagine di un giallo
paglierino, parlavano solo di sport.
Qualcuno aveva fatto partire il jukebox,
che suonava Lonely Nights degli Scorpions.
L’unica cosa, pensò, che forse aveva
sbagliato era non farsi la barba, perché dall’avvocato avrebbe rivisto quella
segretaria che tanto lo intrigava e che prima, davanti alla scuola, sembrava
che già gli avesse promesso tutto.
Eh si, era proprio sicuro di aver visto
giusto. In qualche modo doveva agganciarsi a quello sguardo e portare a casa un
appuntamento.
Pensò che una telefonata allo studio gli
avrebbe permesso di risentirla, avere subito qualche occasione e non sprecare
tempo se per caso l’avvocato avesse avuto un imprevisto.
Aveva in tasca due gettoni e potevano
bastare. Nel tempo in cui il disco del telefono componeva tichettando uno dopo
l’altro le cinque cifre del numero dello studio, dovette ammettere che stava
avendo un’erezione. Era bastato ricordare quello sguardo.
Niente, numero occupato.
Riprovò dopo un minuto, mentre il cavallo
dei pantaloni gli si gonfiava sempre di più.
“Se qui qualcuna butta l’occhio” pensò
baldanzoso “mi offre un caffè sperando in un altro epilogo”.
La voce sensuale dall’altra parte della
cornetta gli sembrò piacevolmente tutt’altro che professionale.
“Pronto! Buongiorno, sono Antonio …… Parlo
con lo studio dell’avvocato …?” e già sapeva che lei lo aveva riconosciuto
“Bene, perché lei ha un modo amichevole di rispondere e…pensavo di essermi
sbagliato e di averle telefonato a casa.”.
Silenzio.
“Guardi, era una battuta. Mi permette di
scusarmi?”
Silenzio, solo un respiro.
“Allora, facciamo così, mi dice se
l’appuntamento con l’avvocato è confermato per le 10 e poi di invitarla a bere
un caffè?”.
“Sig. Antonio, l’appuntamento è
confermato. Per il caffè, non saprei. Sa, non mi è permesso fare pause”.
Era una scusa, sicuramente, quando mai non
si possono fare pause? Era arrabbiata per la faccenda del modo di rispondere
amichevole. Amichevole voleva dire poco professionale.
Caspita, da un complimento che voleva
fare, si era ritrovato a dire qualcosa con un senso opposto.
Va bene, ma era troppo permalosa.
Alla parola permalosa, sentì che le
avrebbe messo le mani nella camicetta, frugando in quel reggiseno a balconcino
che a lei forse sembrava che nessuno notasse, ma che lui le avrebbe tolto
immediatamente. “E poi, dai” pensò “ti tolgo tutto in un attimo e allora sì che
ti permetto di essere permalosa! E poi, arrabbiati, che mi viene ancor più
voglia di stringerti e prenderti!”.
Pagò e con le mani in tasca dei jeans se
ne uscì all’aria fresca del mattino, sperando di calmare un po’ quella voglia
crescente di baciarla, di toccarla, di sentire che profumo aveva.
Elena si era preparata una buona scorta di
fredda indifferenza professionale per accogliere quel nuovo cliente
all’appuntamento delle dieci, ma quando sentì aprire la porta e lui le comparve
davanti salutandola cordialmente, la fredda indifferenza diventò un seccato
imbarazzo.
Forse non lo salutò nemmeno. Lo accompagnò
dall’Avvocato, al quale portò il fascicolo, e richiuse la porta.
“Che stupida. Un’occasione di accettare un
invito e io mi arrabbio. Peccato!” si rimproverò davanti allo specchio del
bagno, dandosi una sistemata a quel ciuffo cotonato che non stava su. Era tempo
di rifare la permanente.
Quando uscì, trovò Antonio che l’aspettava
alla scrivania.
“Vorrei un appuntamento. Con l’avvocato,
s’intende. Non con lei, eh, che dopo equivoca e si arrabbia.”
“Ecco, se le va bene, venerdì prossimo,
alle 16. Mi
scusi, sa, le sarò sembrata un po’ sulle mie. Ma arrabbiata, no. Quello no.”
“Bene, perché se avevamo litigato…sa, di
solito per far pace poi si finisce a letto” azzardò Antonio, aspettandosi uno
schiaffo.
“Accetto il caffè, allora, mi sembra meno
scandaloso”.
L’appuntamento era per le 15.30, in un bar
dove si potesse parcheggiare al volo. Alle 16 al massimo, Elena doveva aver
ripreso Bobby all’asilo ed accompagnato i bimbi dalla nonna prima di riaprire
l’ufficio.
Arrivò con cinque minuti di ritardo, ma
aveva rallentato per ascoltare fino alla fine Vita Spericolata di quel VascoRossi, che l’anno prima già le era piaciuto con Vado al massimo.
Vado al massimo in una vita spericolata…poteva
essere il suo motto segreto.
Era stanca di non essere più se stessa,
quelle briglie borghesi della famigliola felice le avevano alterato anche i
pensieri e improvvisamente non si riconosceva più.
Era stata contenta quando il ’68 aveva
dissodato il terreno sociale, quando ci si poteva anche dichiarare contro le
convenzioni, senza venire isolati.
Gli anni Ottanta, però, sembravano il velo
pietoso sulla fine del coraggio collettivo…e tutti, lei compresa, si stavano
adeguando comodamente.
Intanto, come Vasco, anche lei entrava al
Roxy Bar. Non avrebbe bevuto del whisky, ma pazienza.
Tra l'aroma dell'arabica che addensava
l'aria si infilava qualche "banco di nebbia" come lo chiamava
lei. Qualcuno stava fumando.
Si avvicinò al bancone, ordinò e...lo
vide.
Lui sorseggiava già il caffè
chiacchierando confidenzialmente con la giovane aiutante del barista.
Un morso allo stomaco la spinse a fare
quello che si era da sempre proibita: agire d’istinto.
Si fermò vicinissima, facendo finta di non
vederlo, e avvicinò la tazzina, pensando di prendere contemporaneamente la
zuccheriera davanti a lui attirando la sua attenzione e distraendolo dal flirt.
Ma Antonio, prima che ancora lei avesse
finito la parola caffè e senza voltarsi le passò la zuccheriera.
Finì di ridere con la ragazza del banco,
sorseggiò il suo caffè e, mentre si preparava ad aprire il portafoglio, disse
“Due, grazie. Questa signora è ospite mia”.
Elena, irrigidita dalla timidezza, riuscì
a malapena ad alzare lo sguardo.
Trovò due occhi scuri diretti nei suoi, ed
un sorriso molto eloquente.
“Allora, finito il lavoro per me?” le
disse.
“Si, si, signor…. Passi pure in ufficio, venerdì,
l’Avvocato l’aspetta e spero che il lavoro sia a posto!”
“Lo spero anch’io” le disse guardandola
ora di sbieco mentre allungava le mille lire per pagare “Tanto, noi avremo modo
di rivederci lo stesso, no?”.
Elena capì al volo. Non c’era bisogno di
nessun’altra precisazione. Capì quello che lui voleva dire, capì quello che lui
voleva fare, capì quello che lei avrebbe fatto e anche quello che non avrebbe
detto.
Non avrebbe detto “no”. Non l’avrebbe
detto da quel momento in poi, mentre tutto l’elenco di quello che si era
proposta di fare e non fare e dire e non dire era stato accartocciato e buttato
nel cestino con un ottimo lancio.
“Grazie” gli sorrise, finendo il caffè,
come si fa quando di due cose non se ne sa scegliere una.
Uscì, mentre lui la seguiva soddisfatto.
“Avevo ragione” affermò sornione.
“Di che?” rispose lei sorpresa da
quell’avvio.
“Che avevi tutte le cose a posto e sei
bellissima”.
Elena avvampò al complimento improvviso e
cercò con gli occhi di verificare che nessuno avesse sentito.
“Non sono abituata agli apprezzamenti” si
scusò sorridendo troppo.
“E allora ti ci dovrai abituare, perché io
li faccio, se sono meritati” incalzò Antonio, ormai sicuro di sé.
“Mi ci abituerò” rispose Elena,
sorridendogli prima di voltarsi e avviarsi verso l’ufficio.
Lui la guardò allontanarsi, lei sentì il
suo sguardo come fosse il suo tatto scenderle aderente lungo tutto il corpo,
indugiare sulle natiche e poi in mezzo alle gambe.
Sarebbe stata quella la sensazione delle
sue mani su di lei?