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venerdì 8 novembre 2013

Dopotutto oggi è un altro giorno - Romanzo - Capitolo II - Vita Spericolata

DOPOTUTTO OGGI E’ UN ALTRO GIORNO
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La storia qui svelata e' una storia vera, raccontatami dai due protagonisti, che ne hanno approvato la stesura e la pubblicazione.
La vicenda si svolge a partire dal febbraio 1983 ad Adria, un’allora vivace cittadina del Polesine, terra tra il fiume Adige e il fiume Po e che in quegli anni si presentava così
 

I nomi, le professioni, i legami familiari che potevano portare ad identificare i personaggi principali, sono stati modificati per consentirne la privacy.


Capitolo II
Vita Spericolata.

Il lunedì mattina la gente stava ancora a chiedersi dove fosse finita la domenica, fatta di Messa nella Cattedrale, di saluti e convenevoli all’uscita, di cabaret di paste prese in fila nelle pasticcerie sovraffollate del centro e in più dopo interminabili attese se si decideva di prenderle in quella che veniva considerata la migliore, un minuscolo laboratorio dove più che dall’esposizione si sceglievano i dolci dall’aroma che profumava anche le vie vicine.
Una domenica dove il pranzo con la famiglia allargata a genitori, fratelli e nipoti era sempre di almeno tre portate che finivano dopo il caffè in un pomeriggio sonnolento e silenzioso davanti alla tv di Domenica In, con i bambini più grandi e i ragazzi spediti al Cinema dai Frati o al Massimo, secondo le disponibilità per il costo del biglietto e l’apertura d’idee della famiglia.
Al Politeama, no, non più. Avevano cominciato a buttarsi nel limbo dei film della commedia sexy all’italiana che offendevano la morale delle madri e non soddisfacevano i padri dei ragazzi maschi più grandi, che preferivano pensarli al Cinema Roma, dove invece i film erano più espliciti.
La sera, aggrappati agli ultimi sussulti del fine settimana, ci si illudeva di appartenere ad una cerchia di relazioni sociali passeggiando in flussi controllati in corsie opposte su e giù per la Strada Grande, a lucidarne il porfido o sui marciapiedi lungo le serrande ben chiuse dei negozi e sotto lampioni affievoliti, salvo fermarsi doverosamente con altre coppie, altri gruppi, altri conoscenti per non mancare di rinsaldare sodalizi e immagine pubblica.
Così, il lunedì mattina, appesantiti anche dalla cena che seguiva quella sfilata di riverenze reciproche, gli occhi erano in cerca di novità.
Elena accompagnò Laura e Diego alla scuola elementare, mentre negli edifici accanto frotte di ragazzi entravano per le lezioni.
Liceo e scuole professionali l’uno accanto all’altro, lei lo aveva considerato un segno dei tempi che cambiano, una coda del ’68, una concessione agli anni di piombo.
Non stava bene la vicinanza di gruppi di ragazzi appartenenti a classi sociali così diverse, avrebbe potuto divenire un alibi per contestazioni durante gli scioperi o, al contrario, una breccia nell’ordine sociale.
Così, era solita accompagnare fin dentro l’edificio scolastico i suoi due figli più grandicelli, tenendo l’altro più piccolo ben stretto per mano.
Nel piazzale davanti alla palestra, il solito vociare indistinto e gruppi di adulti, ragazzi e bambini che andavano e venivano da e verso i diversi plessi. Mentre tentava di farsi largo per oltrepassare quel muro umano, fu indotta a spostarsi per l'arrivo di un'auto dalla quale stava scendendo affannato un ragazzo.
La novità che cercavano i suoi occhi quel lunedì era lì, al volante, ed era la più inconfessabile.
Pensò si trattasse di un'infantile interpretazione, di un volo di fantasia, della sua fervida immaginazione, ma Antonio la stava fissando malizioso in cerca di uno sguardo complice.
Gli sorrise, sfrontata, con uno sguardo carico di promesse.
Riprese la sua Ritmo, trovò un posteggio dove lasciarla tutta la mattina e proprio davanti all’asilo, tanto che fece in tempo a scambiare anche più di un bacio con Bobby e un saluto civile con la suora.
La settimana si era aperta bene, la giornata sembrava promettente. Due passi, la fermata all’edicola e ora si meritava un buon caffè senza fretta.
Riuscì ad aprire l’ufficio puntuale e a sistemarsi i capelli gonfi e ricci davanti allo specchio, prima che il telefono cominciasse a squillare insistente come tutti i lunedì.
“Ma che succede a questa gente, nel fine settimana?” si disse mentre salutava un cliente al quale aveva dovuto dire che l’Avvocato sarebbe arrivato tardi, quella mattina. Ed ecco il telefono trillare di nuovo, mentre lei non riusciva a concentrarsi sulla pratica del nuovo cliente, che voleva rivedere ancora per non lasciare alcun errore e, ma questo non lo confessò mai chiaramente, per fare con lui bella figura.

Stanchissimo e assonnato, Antonio sarebbe andato dritto a letto.
Era tornato solo due ore prima dopo aver guidato praticamente due giorni, Italia Danimarca e ritorno, e suo figlio aveva voluto che lo accompagnasse a scuola.
Tanto doveva andare dall’avvocato, si era detto, e sarebbe stato inutile andare a dormire, per poi alzarsi incosciente e rischiare di non capire nulla di quello che gli si spiegava della causa.
Così, aveva deciso che si sarebbe fermato fuori, letto il giornale e bevuto un caffè al bar.
Al Centrale l’atmosfera era sempre accogliente, così si fermò anche più a lungo, prendendo un espresso doppio e facendo anche il bis.
Il Gazzettino del lunedì era formato da sole quattro pagine di notizie ed il resto, con le pagine di un giallo paglierino, parlavano solo di sport.
Qualcuno aveva fatto partire il jukebox, che suonava Lonely Nights degli Scorpions.
L’unica cosa, pensò, che forse aveva sbagliato era non farsi la barba, perché dall’avvocato avrebbe rivisto quella segretaria che tanto lo intrigava e che prima, davanti alla scuola, sembrava che già gli avesse promesso tutto.
Eh si, era proprio sicuro di aver visto giusto. In qualche modo doveva agganciarsi a quello sguardo e portare a casa un appuntamento.
Pensò che una telefonata allo studio gli avrebbe permesso di risentirla, avere subito qualche occasione e non sprecare tempo se per caso l’avvocato avesse avuto un imprevisto.
Aveva in tasca due gettoni e potevano bastare. Nel tempo in cui il disco del telefono componeva tichettando uno dopo l’altro le cinque cifre del numero dello studio, dovette ammettere che stava avendo un’erezione. Era bastato ricordare quello sguardo.
Niente, numero occupato.
Riprovò dopo un minuto, mentre il cavallo dei pantaloni gli si gonfiava sempre di più.
“Se qui qualcuna butta l’occhio” pensò baldanzoso “mi offre un caffè sperando in un altro epilogo”.
La voce sensuale dall’altra parte della cornetta gli sembrò piacevolmente tutt’altro che professionale.
“Pronto! Buongiorno, sono Antonio …… Parlo con lo studio dell’avvocato …?” e già sapeva che lei lo aveva riconosciuto “Bene, perché lei ha un modo amichevole di rispondere e…pensavo di essermi sbagliato e di averle telefonato a casa.”.
Silenzio.
“Guardi, era una battuta. Mi permette di scusarmi?”
Silenzio, solo un respiro.
“Allora, facciamo così, mi dice se l’appuntamento con l’avvocato è confermato per le 10 e poi di invitarla a bere un caffè?”.
“Sig. Antonio, l’appuntamento è confermato. Per il caffè, non saprei. Sa, non mi è permesso fare pause”.
Era una scusa, sicuramente, quando mai non si possono fare pause? Era arrabbiata per la faccenda del modo di rispondere amichevole. Amichevole voleva dire poco professionale.
Caspita, da un complimento che voleva fare, si era ritrovato a dire qualcosa con un senso opposto.
Va bene, ma era troppo permalosa.
Alla parola permalosa, sentì che le avrebbe messo le mani nella camicetta, frugando in quel reggiseno a balconcino che a lei forse sembrava che nessuno notasse, ma che lui le avrebbe tolto immediatamente. “E poi, dai” pensò “ti tolgo tutto in un attimo e allora sì che ti permetto di essere permalosa! E poi, arrabbiati, che mi viene ancor più voglia di stringerti e prenderti!”.
Pagò e con le mani in tasca dei jeans se ne uscì all’aria fresca del mattino, sperando di calmare un po’ quella voglia crescente di baciarla, di toccarla, di sentire che profumo aveva.

Elena si era preparata una buona scorta di fredda indifferenza professionale per accogliere quel nuovo cliente all’appuntamento delle dieci, ma quando sentì aprire la porta e lui le comparve davanti salutandola cordialmente, la fredda indifferenza diventò un seccato imbarazzo.
Forse non lo salutò nemmeno. Lo accompagnò dall’Avvocato, al quale portò il fascicolo, e richiuse la porta.
“Che stupida. Un’occasione di accettare un invito e io mi arrabbio. Peccato!” si rimproverò davanti allo specchio del bagno, dandosi una sistemata a quel ciuffo cotonato che non stava su. Era tempo di rifare la permanente.
Quando uscì, trovò Antonio che l’aspettava alla scrivania.
“Vorrei un appuntamento. Con l’avvocato, s’intende. Non con lei, eh, che dopo equivoca e si arrabbia.”
“Ecco, se le va bene, venerdì prossimo, alle 16. Mi scusi, sa, le sarò sembrata un po’ sulle mie. Ma arrabbiata, no. Quello no.”
“Bene, perché se avevamo litigato…sa, di solito per far pace poi si finisce a letto” azzardò Antonio, aspettandosi uno schiaffo.
“Accetto il caffè, allora, mi sembra meno scandaloso”.

L’appuntamento era per le 15.30, in un bar dove si potesse parcheggiare al volo. Alle 16 al massimo, Elena doveva aver ripreso Bobby all’asilo ed accompagnato i bimbi dalla nonna prima di riaprire l’ufficio.
Arrivò con cinque minuti di ritardo, ma aveva rallentato per ascoltare fino alla fine Vita Spericolata di quel VascoRossi, che l’anno prima già le era piaciuto con Vado al massimo.
Vado al massimo in una vita spericolata…poteva essere il suo motto segreto.
Era stanca di non essere più se stessa, quelle briglie borghesi della famigliola felice le avevano alterato anche i pensieri e improvvisamente non si riconosceva più.
Era stata contenta quando il ’68 aveva dissodato il terreno sociale, quando ci si poteva anche dichiarare contro le convenzioni, senza venire isolati.
Gli anni Ottanta, però, sembravano il velo pietoso sulla fine del coraggio collettivo…e tutti, lei compresa, si stavano adeguando comodamente.
Intanto, come Vasco, anche lei entrava al Roxy Bar. Non avrebbe bevuto del whisky, ma pazienza.
Tra l'aroma dell'arabica che addensava l'aria si infilava qualche "banco di nebbia" come lo chiamava lei. Qualcuno stava fumando.
Si avvicinò al bancone, ordinò e...lo vide. 
Lui sorseggiava già il caffè chiacchierando confidenzialmente con la giovane aiutante del barista.
Un morso allo stomaco la spinse a fare quello che si era da sempre proibita: agire d’istinto.
Si fermò vicinissima, facendo finta di non vederlo, e avvicinò la tazzina, pensando di prendere contemporaneamente la zuccheriera davanti a lui attirando la sua attenzione e distraendolo dal flirt.
Ma Antonio, prima che ancora lei avesse finito la parola caffè e senza voltarsi le passò la zuccheriera.
Finì di ridere con la ragazza del banco, sorseggiò il suo caffè e, mentre si preparava ad aprire il portafoglio, disse “Due, grazie. Questa signora è ospite mia”.
Elena, irrigidita dalla timidezza, riuscì a malapena ad alzare lo sguardo.
Trovò due occhi scuri diretti nei suoi, ed un sorriso molto eloquente.
“Allora, finito il lavoro per me?” le disse.
“Si, si, signor…. Passi pure in ufficio, venerdì, l’Avvocato l’aspetta e spero che il lavoro sia a posto!”
“Lo spero anch’io” le disse guardandola ora di sbieco mentre allungava le mille lire per pagare “Tanto, noi avremo modo di rivederci lo stesso, no?”.
Elena capì al volo. Non c’era bisogno di nessun’altra precisazione. Capì quello che lui voleva dire, capì quello che lui voleva fare, capì quello che lei avrebbe fatto e anche quello che non avrebbe detto.
Non avrebbe detto “no”. Non l’avrebbe detto da quel momento in poi, mentre tutto l’elenco di quello che si era proposta di fare e non fare e dire e non dire era stato accartocciato e buttato nel cestino con un ottimo lancio.
“Grazie” gli sorrise, finendo il caffè, come si fa quando di due cose non se ne sa scegliere una.
Uscì, mentre lui la seguiva soddisfatto.
“Avevo ragione” affermò sornione.
“Di che?” rispose lei sorpresa da quell’avvio.
“Che avevi tutte le cose a posto e sei bellissima”.
Elena avvampò al complimento improvviso e cercò con gli occhi di verificare che nessuno avesse sentito.
“Non sono abituata agli apprezzamenti” si scusò sorridendo troppo.
“E allora ti ci dovrai abituare, perché io li faccio, se sono meritati” incalzò Antonio, ormai sicuro di sé.

“Mi ci abituerò” rispose Elena, sorridendogli prima di voltarsi e avviarsi verso l’ufficio.
Lui la guardò allontanarsi, lei sentì il suo sguardo come fosse il suo tatto scenderle aderente lungo tutto il corpo, indugiare sulle natiche e poi in mezzo alle gambe.
Sarebbe stata quella la sensazione delle sue mani su di lei?



mercoledì 6 novembre 2013

Dopotutto oggi è un altro giorno - Romanzo - Capitolo I - Maledetta primavera

DOPOTUTTO OGGI E’ UN ALTRO GIORNO
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La storia qui svelata e' una storia vera, raccontatami dai due protagonisti, che ne hanno approvato la stesura.
La vicenda si svolge a partire dal febbraio 1983 ad Adria, un’allora vivace cittadina del Polesine, terra tra il fiume Adige e il fiume Po e che in quegli anni si presentava così


I nomi, le professioni, i legami familiari che potevano portare ad identificare i personaggi principali, sono stati modificati per consentirne la privacy.


Capitolo I
Maledetta Primavera

Elena aspettava il caffè che non arrivava mai. Non aveva tempo, era già in ritardo e doveva accompagnare il bambino all'asilo, prima di correre ad aprire l'ufficio.
Bobby frignava, il barista serviva ombre di primo mattino e la macchina dell'espresso sbuffava più di lei.
"Guardi, va bene lo stesso, lo prendo magari dopo." disse uscendo senza salutare.
Fece salire il piccolo in macchina, comperò il Sole 24ore e Il Gazzettino, accese la Fiat Ritmo appena presa - che già voleva cambiare - e le sembrò che la giornata prendesse senso.
Parcheggiare davanti all'asilo era sempre un problema. L'entrata dava su una via stretta e con divieto di sosta e alle otto c'era la più alta concentrazione di genitori mai vista in pochi metri quadrati, perciò invece di abbracciare e baciare Bobby come avrebbe voluto, doveva sempre accontentarsi di salutarlo sulla porta e vederlo dare la mano alla Madre Superiora che la guardava con un'accondiscendenza compresa nel prezzo della retta mensile.
Aprì l'ufficio con pochi minuti di ritardo, ma - si ripromise - l'indomani doveva riuscire ad essere puntuale... Era una questione di principio... Oltre che di professionalità, s'intende.
Sistemò la scrivania già riordinata la sera precedente, accese la macchina da scrivere elettronica, non elettrica: questa teneva in memoria un'intera frase, che si poteva rileggere e correggere e finalmente stampare senza usare quegli odiosi correttori, silenziosi testimoni dei suoi errori di battitura.
Il titolare era uno sempre aggiornato sulle novità tecnologiche e lo aveva sentito anche parlare con un paio di consulenti per l'acquisto di un elaboratore elettronico per l’archivio e la consultazione delle leggi e delle sentenze. Non vedeva l'ora di poterlo usare, anche se imparare sarebbe stato impegnativo.
Tutto era impegnativo, anche la casa e la famiglia con tre bambini e un marito imprenditore.
Ma una donna in carriera come si sentiva lei poteva tutto.
Suo marito Michele era un uomo impegnato nel lavoro, questo la faceva sentire orgogliosa. Correva avanti e indietro per contratti e forniture con le grandi firme della moda che commissionavano alla Città, e dintorni, confezioni di sartoria, maglieria ed intimo per fatturati miliardari. Il centro, le frazioni, i paesi vicini fin giù in tutto la parte della provincia che scivolava verso il mare brulicavano di laboratori che accoglievano migliaia di lavoratori e lavoratrici più o meno in regola, stipati in capannoni o in garage, con o senza finestre, con o senza garanzie di sicurezza, tutti sempre senza nemmeno il tempo di alzare la testa dal lavoro ne' poter andare in bagno più di due o tre volte in otto o anche dieci, undici ore di lavoro. In uno dei laboratori di suo marito lavorava anche la sua amica Rosalba, e per questo di fronte a lei era un po' meno orgogliosa.
"Buongiorno!" la porta dell'ingresso si era spalancata ed era arrivato il titolare, con la sua Cambridge di cuoio vissuta e il portasigari già in mano.
Aveva sotto il braccio anche una voluminosa cartella che aveva studiato tutta la notte e le posò sul tavolo una ventina di pagine fitte, scritte di suo pugno, da ricopiare senza errori su fogli uso bollo. Un’azione legale civile per un danno valutato centinaia di milioni di lire.
Si mise all'opera e con la sua prodigiosa Olivetti ET115 avrebbe finito per mezzogiorno.

Potevano essere più o meno le undici, perché il lavoro era a buon punto, quando fu distratta dalla porta che si apriva alle sue spalle e da una voce sconosciuta che salutava.
Si girò sulla sedia dattilo e vide un uomo sulla quarantina, capelli lisci e ben tagliati alla Alex di Casa Keaton.
Se il suo mezzano fosse nato dopo la messa in onda di Casa Keaton l'avrebbe chiamato Alex perché quel ragazzo della serie tv le piaceva troppo.
Era un nuovo cliente, mai visto prima.
Abbronzato, portava un braccialetto d'acciaio al polso destro che spuntava dalla manica del giubbino di daino scamosciato.
Jeans, camicia scura, occhi languidi e profondi, sorriso che sembrava un bracciale di perle.
“Scusi…” e il suo sguardo scivolò sulla mano sinistra di lei “…signora… cercavo l’avvocato…”.
L’Avvocato, come lo chiamavano ormai senza aggiungere mai né il nome né il cognome quasi a voler fare il paragone con il famoso Agnelli, era impegnato al telefono e tra un minuto l’avrebbe avvertito, precisò Elena, mentre indicava con la mano aperta una delle sedie Thonet della sala d’attesa e si accertava sbirciando se l’uomo avesse la fede al dito.

Scosse la testa, stava facendo considerazioni sconosciute al suo modo di pensare e l’imbarazzo la fece arrossire.
Tornò a trascrivere il testo e sentiva che lo sguardo del nuovo cliente non era su di lei perché udiva sfogliare una rivista con un ritmo abbastanza lento da supporre che lui stesse guardando il giornale senza distrazioni. La cosa la indispettì, suo malgrado, ma pensò che forse era quel suo modo di vestire classico, quella camicetta di seta scialba che per una donna in carriera andava bene, ma per una donna e basta, no.
Lo scorrere torrenziale dei pensieri fu interrotto dalla spia del centralino telefonico che indicava che una telefonata era stata conclusa e subito dopo si aprì la porta e il professionista e il nuovo cliente si fecero incontro stringendosi la mano complimentosi. L’Avvocato si tolse il sigaro aromatizzato vaniglia dalle labbra e gettando il residuo in uno dei posacenere che aveva disseminato per lo studio, indicò il lavoro di trascrizione di Elena.
“Quasi pronta. Se dice, nel pomeriggio le fisso un appuntamento e la leggiamo. Se condivide il contenuto, firmetta e domani presentiamo in Procura”.
Elena aveva già la penna in mano e l’agenda aperta. La sua curiosità voleva sapere nome, cognome, telefono, indirizzo e ora dell’appuntamento del pomeriggio in cui sarebbe tornato.

Alle 17 il lavoro era pronto, rilegato ed impeccabile. “Ecco, Avvocato, glielo lascio per l’appuntamento con il sig. Antonio…penso sia qui fuori che parcheggia”. Lo sguardo del titolare si elevò sopra gli occhiali da lettura e un cenno secco del capo le comunicò che “va bene, grazie, lo stava interrompendo, poteva andare, non occorreva tanta premura”.
Antonio, questo il suo nome. Per tutto il tempo in macchina e in cui era stata in cucina e per tutto il pranzo e il ritorno ci aveva pensato e la faccenda non le era piaciuta perché le aveva procurato un bel po’ di distrazioni e di imprevisti.
Dunque adesso era meglio che si ricomponesse la mente, ma prima doveva aggiornare il registro clienti con il nuovo nominativo e si sorprese ancora una volta a sperare che la memoria da depositare fosse da correggere, integrare, tagliare qua e là perché poi ci sarebbe stato un nuovo appuntamento.
Il nuovo cliente sig. Antonio uscì dallo studio dell’Avvocato salutando appena.
Sarebbe tornato il lunedì successivo, avvertì il titolare, perché aveva una consegna all’estero e la memoria doveva essere riscritta per quel giorno.
L’epilogo sollevò Elena da una giornata nella quale i suoi pensieri erano stati in cattura di un unico polo d’attrazione e ciò cominciava a starle stretto, perché non era solita darsi in consegna ad un soggetto di qualsivoglia ruolo nella sua vita.
Il pomeriggio volgeva al termine e verso le 18 il suo lavoro poteva dirsi terminato. A fine febbraio, il crepuscolo era di un viola acceso da vampate fucsia e si spegneva nel rosso orizzonte che preludeva alla primavera piena.
Il bacino centrale del Canale era lo specchio di quel cielo che stava arrossendo come lei a qualche sfuggente pensiero sugli strani pensieri di quel giorno ed il Corso, la Strada Grande come l’ingenuità popolare la chiamava, era un fiume in piena di persone che si gustavano la passeggiata serale.
L’auto era parcheggiata dall’altra parte del centro, ma lei aveva voglia di camminare, voglia di avere ancora qualche minuto per sé prima di arrivare a casa. Si fermò a prendere un po’ di prosciutto per la cena all’Osteria più frequentata dai perditempo e un po’ di vitello nella macelleria lì di fronte.
I suoi tre bimbi l’attendevano con la nonna e suo marito sarebbe rincasato molto tardi.
Elena girò la chiave dell’auto, abbassò il finestrino con l’enorme soddisfazione che per farlo bastasse premere un pulsante e non più slogarsi il polso, e partì verso casa, una villetta con taverna, mansarda e giardino ben curato nella zona residenziale della città.

In quel momento, Antonio stava parcheggiando il suo autoarticolato sulla piazzola antistante casa sua, uno spazio sterrato che si era ricavato rubando vegetazione all’argine del Canale e aggiungendovi di tasca sua (e dio-solo-lo-sapeva quanto gli era costato) un terrapieno rinforzato. Più sotto, l’orto coltivato da sua madre sulla porzione di riva demaniale che più o meno corrispondeva alla larghezza della sua proprietà al di là della strada, una casa di campagna ristrutturata e ampliata, con una grande pensilina sul lato est, dove la sera d’estate si ritrovavano spesso in famiglia e con gli amici per lunghe e chiassose cene.
Suo figlio aveva parcheggiato male l’auto nel vialetto in discesa che portava al cancello. Come al solito, impediva un comodo accesso a chi doveva passare, cioè a sua moglie, che sarebbe tornata dal turno serale più tardi e avrebbe lasciato la macchina sulla strada, chiamandolo per aiutarla.
Era stanco, aveva voglia di una doccia, di accendere la tv e di una birra. Sua madre, per fortuna, si sarebbe occupata della cena come sempre e almeno quell’incombenza non lo riguardava.
L’indomani, prima di partire e caricare il camion, avrebbe però dovuto seminare l’erba.
Lo preoccupava il pensiero di quella causa per risarcimento che stava curando l’Avvocato, un professionista eccellente. Almeno, poteva pensare di aver scelto per il meglio e questo avrebbe potuto calmare i suoi pensieri. In realtà, era un uomo determinato e non riusciva a distogliere il pensiero dall’obiettivo, quando ne aveva uno di importante. E non era riuscito a distogliere lo sguardo da quella segretaria, quella mattina, sbirciandola di sottecchi mentre fingeva di sfogliare una rivista presa a caso, un numero di Vogue che aveva gambe lunghissime e donne con il cappello sulle pagine patinate. Chiunque si sarebbe accorto che fingeva, ma a quale uomo interessa Vogue? Neanche fosse Play Boy, si disse! Eppure la donna non aveva accennato a nulla. Seria, professionale, con quel sorrisetto da impiegata modello, quella blusa scialba che però era ben trasparente sotto le luci al neon e lasciava trasparire un bel paio di tette strette in un reggiseno a balconcino di pizzo chiaro. Eh, ma che contegno che aveva. Proprio da santarella, di quelle tutte compìte, che non si lasciavano raggiungere facilmente. Però, però, si disse mentre si apriva il soffione della doccia e un getto gelato lo fece rabbrividire, però una sbirciatina alla mano sinistra l’aveva data. Come lui, del resto. La donna portava la fede. Quindi, era l’impiegata dell’Avvocato e la moglie di qualcuno.  Lui, era solo il marito di una, ma del resto per la sua vita professionale non apparteneva a nessuno. Appartenere, un verbo che non usava spesso, piuttosto preferiva possedere. Possedere la sua casa, possedere il suo camion, possedere una bella famiglia, possedere una vita di soddisfazioni. Se non fosse, ora, per quella spina nel fianco di quella causa civile per risarcimento che proprio doveva sistemare al più presto. Presto, si disse, quando mai in Italia le cause vanno a posto presto? Sarebbe stato più veloce sedurre la segretaria gelida dell’Avvocato che non finire la causa. 
E con quest’idea allettante, sporse un braccio dalla doccia e accese la radio che stava trasmettendo New Years Day degli U2.

˜˜

Pensare ad uno sconosciuto può accadere. E lo si può fare in mille forme e per mille motivazioni.
Ma l’inizio, il primo pensiero, si presenta sempre con la stessa distratta modalità. Sfuggente, passa e ci riporta un’immagine, una voce, un profumo. Poi, a volte ritorna, a volte no.
Quel finire di settimana fu per Elena un banco degli esperimenti. Registrò quel primo pensiero che si era affacciato, così, per caso, nella mattinata del venerdì. Si era accodato ad un rumore di porta che si apriva e ad un profumo maschile che riempiva l’ingresso. Lei si era sorpresa a pensare fosse lui anche se sapeva, dalle informazioni d’ufficio, che era all’estero per lavoro. “Lui” notò tra sé e sé “sembra quasi un modo confidenziale di pensarlo”. Ma nel chiudere lo studio, verso le 18, fece un altro pensiero e questa riflessione la tormentò per tutto il sabato e per tutta la domenica. Si era concretizzata, illuminante, la considerazione che se il primo pensiero era generato da un profumo, allora il senso di quell’immaginazione andava oltre la libera associazione di idee, oltre quei nessi casuali che si formano entropici, ma coinvolgeva chiaramente i sensi.
Più di tutti gli altri particolari, la sua mente ne rievocava il sorriso, i capelli lisci e scuri e gli occhi profondi.
E d’altra parte, non poteva ricordarne bene la corporatura, visto che lei era stata per tutto il tempo seduta mentre lui era in piedi e indossava un giubbino blu scamosciato e rimborsato in vita che doveva essere di ottima qualità, cadeva bene perché gli valorizzava la forma delle spalle e il portamento.
Sua nonna, le raccontava sempre dell’importanza del portamento negli uomini.
Però, ogni volta che riandava a lui con il pensiero, le si accompagnava una punta di fastidio per l’indifferenza con la quale aveva posato il suo sguardo su di lei, per la distrazione con la quale aveva salutato e per non averla nemmeno degnata di un’occhiata amichevole andandosene, come invece facevano tutti gli altri clienti uomini.
“Una cosa da chiarire” pensava in uno di questi lunghi percorsi di autopsicanalisi “un punto fermo, è che io non civetto con i clienti, sia inteso. Se fossi una di quel tipo, avrei già avuto le mie buone occasioni. Il commercialista, ad esempio, quello ammicca sempre. Anche il dentista, quello con i baffi brizzolati e l’aria sbarazzina…anche quello ci prova.”
Assorta in queste riflessioni, arrivò a casa e subito fu travolta da ogni tipo di altro pensiero, fino a prima di andare a dormire, quando si preparò una vasca di acqua spumosa, bollente e profumata. Facendo scendere il bagnoschiuma al profumo di zucchero filato sotto il flusso del grande rubinetto dorato,  passò il fugace pensiero dello sperma che suggellava il piacere, del dolcissimo sapore che aveva e del calore tiepido che invadeva il corpo quando le succedeva di far sesso con suo marito. E con lui, come sarebbe stato il sesso?
Rimase sul bordo della vasca come assente, scandalizzata da questo pensiero e solo l’acqua che le bagnò l’accappatoio nel traboccare fino a inzuppare tutti i tappeti del bagno, la svegliò da quella che in seguito avrebbe chiamato “la trance”.
Si tolse l’accappatoio e con quello asciugò il pavimento. Davanti allo specchio era nuda e nel guardarsi di sfuggita, si trovò ancora piacente e ben fatta nonostante gli anni e la maternità.
Dunque, le capitò di pensare, una chance poteva averla ancora.
Si addormentò nel tepore della vasca, con il mangianastri che suonava Maledetta Primavera.



mercoledì 30 ottobre 2013

Un tuffo



Un tuffo 
nelle profondità dei pensieri 
e non vedo dove 
e non so perchè 
sento solo nostalgia 
e languore 
e calore 
di te 
che sei in superficie 
ad aspettare che io ritorni

giovedì 17 ottobre 2013

Giorno del Guest Writer: ospite Amensa con "Una cena fantastica"



E:Oggi abbiamo il piacere di ospitare come guest writer uno scrittore di racconti erotici noto con lo pseudonimo di Amensa. Benvenuto! Allora… vuoi descriverti un po’ ai miei lettori?
A: A proposito …. Mi chiamo Mensa Andrea, e quindi quello non è uno pseudonimo

E: Da quanto tempo scrivi?
A: Da pochi mesi, forse un anno

E: Dove possiamo seguirti? Scrivi in particolari siti o su un tuo blog o sito personale?
A: Io scrivo molto di economia, abbastanza su FB, luogo comune, o altri blog.

E:Perché scrivi di eros?
A: Perché ad un certo punto della mia vita ho cominciato a fare strani sogni, estremamente realistici e completi di ogni sensazione ed emozione …… molti erano ricordi, altri solo fantasie …. Non ho mai cercato di contrabbandare gli uni per gli altri.

E: Quale ti aspetti sia il tuo pubblico?
A: Chi vuole percepire la differenza tra pornografia ed erotismo.

E: Quale genere erotico preferisci leggere?
A: Ho letto in passato, ora mi dedico all’economia. Quello che ritengo il capolavoro erotico per eccellenza è Emmanuelle.

E: E di quale genere erotico preferisci scrivere?
A: Le mie esperienze sono essenzialmente con una donna, e quindi è quanto credo di conoscere.
Ho tentato in tutti i modi di distinguere la scrittura erotica da quella pornografica, ma insistendo sul fatto che l’erotismo, pur avendo sue regole, è soprattutto da vivere.

E: Scrivi anche racconti, romanzi, poesie non erotici?
A: Penso di raccogliere in un libro i racconti pubblicati qui su ewriters ( o almeno i migliori), sono alla supervisione di una umanista, tanto per migliorarne la forma.

E: C’è uno autore in particolare che ami o a cui ti ispiri?
A: No … non più

E: Sai, il pubblico se lo chiede sempre: hai provato tutte le pratiche erotiche di cui scrivi oppure ci sono cose che descrivi di pura fantasia?
A: Quando ho scritto di fantasie, l’ho sempre denunciato chiaramente ….. il resto è vissuto .
Tanto vissuto che quanto vi propongo è il racconto di una cena di lavoro, finito in modo molto piacevole …… e quanto mi ha rimandato la donna che nel mio scritto si è riconosciuta, circa 30 anni dopo. Buona lettura

E: Ti ringrazio della piacevole conversazione e ora… godiamoci la lettura della tua opera che ci hai portato come omaggio….


Una cena fantastica.

di amensa, pubblicato martedì 5 marzo 2013 su ewriters.it

Accadeva a volte, nell’azienda in cui ho lavorato, che la direzione organizzasse una cena di lavoro per permettere ai quadri dei nuovi clienti, di conoscerci, oltre che a livello di funzione, anche a livello un po’ più personale.

È vero che così possono nascere sia simpatie che antipatie, ma le simpatie sono molto più importanti delle antipatie perché portano ad operare ad un livello meno asettico, a comprendere sia le richieste che le osservazioni scremate da quel dubbio che sovente blocca, causa indugi e incomprensioni, e si può esprimere con “oltre al significato letterale, cosa vorrà veramente dire “ ?
Pertanto una conoscenza fuori dell’ambiente di lavoro, risulta propedeutica ad affinare la comprensione tra chi dovrà poi affrontare operativamente i problemi da risolvere.
E questo sia a livello operativo che a livello manageriale.
Così accadde, ad una di queste cene di lavoro, che la lunga tavolata venne occupata da una parte dai manager, e via via dagli operativi. Quelli della mia azienda da una parte del tavolo, quelli del “cliente” dall’altra.
Come sempre, io mi sedetti dalla parte opposta ai manager. Ho sempre avuto una idiosincrasia verso di loro, anche se devo ammettere di aver avuto anche dei capi “umani” e non ossessionati dall’azienda, dalla produttività, dall’efficienza ecc ……
Noi dell’azienda arrivammo praticamente tutti insieme, visto che ci eravamo dati appuntamento per recarci al ristorante che solo pochi conoscevano, mentre le persone del cliente giunsero alla spicciolata.
È curioso notare come molte persone, inclini a farsi notare dai capi, magari un po’ servili, cerchino di stare il più vicini a loro, per catturarne i discorsi, mentre coloro che sono consapevoli delle proprie capacità, conoscano già bene il proprio lavoro, e quindi non sentano più il bisogno di mettersi in mostra, occupino i posti liberi casualmente, al limite tendendo a raggrupparsi per migliorare la comunicazione tra loro.
Era restato così libero l’ultimo posto del tavolo di fronte a me, quando per ultima giunse una programmatrice, che non ebbe scelta, e mi si sedette di fronte.
Era una non bellissima, ma con tutto al posto giusto, femminile, ben curata e direi seducente.
Indossava una lunga gonna al polpaccio, con un bello spacco sopra al ginocchio, una camicetta bianca con una bella guarnizione di pizzo che permetteva di intravvedere la parte interna dei seni, un corpetto dello stesso tessuto della gonna, tipo gilet, tacchi alti ma non eccessivi che le permettevano di muoversi con una eleganza non sfacciata. Ecco dovessi riassumere il tipo, direi molto femminile.
Lo sguardo allegro, un po’ ironico e due labbra rosse, ma non volgari e una pettinatura che metteva in risalto una chioma castana che arrivava alle spalle.
Un bel tipo, interessante, e quando ci presentammo ed iniziò a parlare, dovetti riconoscere anche spiritosa.
Anche nella conversazione mostrò subito una innata tendenza all’ironia, molto elegante, ed una capacità di cogliere immediatamente ogni aspetto dell’insieme, degno di nota, e di commento. La disposizione delle persone, il loro modo di postarsi, di gesticolare, l’ossequio di alcuni verso i capi, e tante altre cose che, se ascoltate senza vedere la scena, ne avrebbero comunque descritto perfettamente i caratteri significativi.
Raccontai alcune belle barzellette, tanto per uscire un po’ dalla pura osservazione, mentre nella mente mi si cominciava a formare una immagine di lei, come donna, come possibile amante.
Così i discorsi, sempre assecondati molto attivamente da lei, si spostarono gradatamente sul personale, sui gusti, nel vestire, nel mangiare e bere, nei divertimenti e passatempi e infine sui rapporti ……. E sul sesso.
Discorsi sempre molto seri, mai volgari o sfacciati, molto simili a quelli che potrebbe fare uno psicologo tesi a conoscere l’altro, ed anche apprezzarne la libera interpretazione della vita e del piacere.
E, ad un brindisi proposto rumorosamente dai capi, colsi l’occasione di sporgermi verso di lei e le sussurrai:
“se anche lei pensa che la serata possa concludersi come penso io, vada in bagno e si tolga le mutandine”.
Con uno sguardo misto di stupore e divertimento si ritrasse lievemente, alzò il calice, e dopo averlo accostato al mio, bevve.
Ci sedemmo nuovamente e riprendemmo lo scambio di opinioni sulla serata, sui capi, e addirittura sul lavoro da intraprendere ……. Sembrava che volesse rifuggire da ogni argomento personale …..
“Peccato” pensai “ è andata buca, ho sbagliato qualcosa …..” ma dopo alcuni minuti dopo il brindisi, si alzò, e diresse verso i bagni.
Tornando mi passò accanto e mi mise in mano un piccolo gomitolo di pizzo, che guardai tenendolo in pugno, e lo misi velocemente nella tasca della giacca.
Da quel momento iniziammo a scambiarci sguardi carichi di significato, mentre i nostri piedi si toccavano, sfioravano le caviglie in lievi carezze.
Era chiaro che nella mente ci scambiavamo immagini reciproche di cosa desideravamo, di come avremmo voluto esser già abbracciati, del desiderio di baciarci e toccarci, benché in quell’ora che ci separava dalla fine della cena, non facessimo altro che guardarci con sguardi carichi di desiderio, intervallati solo da piccoli commenti ormai quasi privi di significato.
Era chiaro a entrambi che la mente era soltanto più occupata dall’immaginare il “dopo”, quando terminata la cena si sarebbe passato ai saluti.
Scambiati i saluti con gli altri, ci guardammo soltanto più e le dissi “con la mia auto o con la tua?” al che rispose dolcemente “portami dove vuoi tu” e così velocemente ci dirigemmo a quel motel che già conoscevo per aver vissuto altri piacevoli incontri.
Lascio alla fantasia del lettore, immaginare quanto e cosa accadde nell’intimità della stanza, ma dico soltanto che il livello di desiderio dell’uno per l’altra, che si era creato in quell’ultima ora, rese l’incontro forse la più bella espressione di erotismo, di sesso, di piacere, che io ricordi.
Purtroppo non la incontrai più ….. lei già sapeva che si sarebbe trasferita nella agenzia tedesca della sua ditta, ma non me lo disse, per non rovinare con quella nota negativa la dolcezza e la bellezza di quel nostro unico incontro.


E questo quanto ricevetti dopo alcuni mesi dalla pubblicazione di quanto sopra.
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Mio unico e grande amante
Una mia amica mi ha indicato ewriters, ed il tuo nome, come quello che, superando la pornografia tenta la scrittura erotica.
Curiosa sono andata a leggere e ……….. mi sono ritrovata.
Un colpo al cuore mi ha fatto rivivere il nostro incontro, il tuo fare spregiudicato, sbarazzino, ma educato, il tuo sguardo che mi ha spogliata dal primo momento che mi hai vista.
Sono la programmatrice alla quale hai fatto vivere una serata unica, indimenticabile, e nel leggere il tuo racconto ho rivissuto quei momenti incredibili.
Da diverso tempo, allora, presa com’ero dal lavoro, desideravo un uomo, un po’ di sesso che spegnesse quegli stimoli che si facevano sempre più insistenti e pressanti dentro di me, ma, ai tempi, una donna che in modo evidente avesse preso l’iniziativa di un incontro, sarebbe stata inesorabilmente qualificata come puttana.
Eppure il desiderio, a volte coglie anche noi donne, e ricordo, quella sera, preparandomi e vestendomi per partecipare alla cena,  pensai più volte “chissà se sarà la volta buona” ed istintivamente mi toccai, e masturbai fino a dovermi cambiare perché ormai bagnata.
Poi, ripreso il mio portamento serio e pudico, venni a cena.
Eri davvero un bell’uomo, spiritoso, allegro, ma con quello sguardo indagatore che mi faceva sentir nuda ai tuoi occhi.
Ma ti riporto cosa provai quando mi chiedesti di togliermi le mutande.
Sconcertata, col forte timore di essermi esposta, di aver manifestato volgarmente il mio desiderio di sesso, mi ritrassi, quasi offesa, ma contemporaneamente liberata dal peso di dover fare la prima mossa.
Eri tu che chiedevi, eri tu, uomo, che esprimevi il tuo desiderio erotico che incontrava il mio, inespresso verbalmente ma , forse, evidente ai tuoi occhi.
Non potei accettare subito, sarei caduta ai tuoi piedi, per cui attesi qualche minuto, ma fu tornando che mi sentii un’eroina mettendoti in mano quel mio indumento intimo che già sapeva di me.
Mi offrivo, completamente e perdutamente a te, che avevi colto così bene il mio desiderio.
E quella notte è stata per me un evento unico, che ancora sogno, e con esso godo ancora.
Oggi è tutto diverso.
Vedo mia figlia non avere alcun problema a soddisfarsi col “fidanzato” di turno, per lei il sesso non è più un tabù, il chiedere di venir soddisfatta non è più un delitto contro la morale, ed anzi, sovente sono proprio i maschi ad essere imbarazzati da tale libertà.
La mia vita è stata piena, mi son sposata ed ho avuto questa figlia che per me è ormai tutto.
Mio marito, un brav’uomo, non ha mai saputo cosa accadde tra noi, egli era l’antitesi dell’erotismo.
Quando mi desiderava, sempre e solo a letto, con le luci spente, mi prendeva senza mai curarsi di quanto potessi desiderare molto di più di una semplice penetrazione.
Ma , non gliene feci una colpa, molto più anziano di me, mi ha dato comunque molto e mi ha permesso di dedicarmi al lavoro, cosa che mi ha gratificato per la riuscita di molte mie iniziative.
È morto alcuni anni fa e mi ha lasciato una discreta ricchezza che mi permette di vivere agiatamente, pur se continuo , con consulenze estemporanee a esprimermi nel mio lavoro.
Penso che nemmeno tu sia più un Adone ….. in un racconto ho letto della pancia, e nemmeno io sono più la donna di allora.
I viaggi, il lavoro, lo stress e il tempo hanno lasciato sul mio corpo ed il mio viso le loro ingiurie per cui preferisco non cercarti, non mostrarmi, perché io ho un bellissimo ricordo di quell’unico nostro incontro, e vedo, specularmente, che anche tu, nonostante tutte le vicissitudini che stai raccontando, non mi hai dimenticata.
E, devo riconoscere come, il racconto che hai fatto di quella serata, sia vivo, reale, come appena vissuto.
Non chiedermi come ho trovato il tuo indirizzo di posta …… ricordati che io sono una specialista informatica e tu non hai alcuna fantasia nella creazione dei nick-names …….. hahahaha, forse un po’ di narcisismo, o forse un segreto desiderio di ritrovare, scrivendo, parti del tuo passato, ti inducono dappertutto a usare il tuo nome e cognome. Sei talmente facilmente identificabile che sembra tu lo faccia apposta a lasciare ovunque tracce di te.
Ti lascio,ora, e ancora ti ringrazio, a distanza di tanti anni, di avermi aperto, quella notte, le porte del paradiso.
Mai avrei immaginato di poter provare tanto piacere, e ancora oggi, quell’incontro spicca come un’isola nell’oceano dell’abitudine, della normalità.
Un bacio forte, intenso, profondo, con tutta me stessa





lunedì 14 ottobre 2013

Volermi, volere è peccato



Volermi,

Volere
È peccato

Mischiarci i respiri

e appannare i pensieri

Il mondo lontano
non è testimone
Della tua bocca
che cerca più giù
le mie labbra
Della tua lingua
che scivola in pieghe nascoste
Delle mie gambe
che si schiudono piano
Di fremiti e battiti
Di gemiti e fruscii
Di sospiri e sibili
Di mani che stringono
Di dita che affondano



Di me che non sono

più io

Mentre tu solo
sai dove vado
sai da chi vengo

giovedì 26 settembre 2013

Giorno del Guest Writer: ospite Priapo con "La scuola di ballo"

E: Oggi abbiamo il piacere di ospitare come guest writer uno scrittore di racconti erotici noto con lo pseudonimo di Priapo.
Benvenuto! Allora… vuoi descriverti un po’ ai miei lettori?

P: Buongiorno!
Sono uno scrittore dilettante. Amo definirmi strano e quando me lo dicono, spesso in tono dispregiativo ,mi sento enormemente gratificato.
Scrivo racconti erotici e poesie ma non escludo in futuro di approcciare anche argomentazioni diverse.

E: Da quanto tempo scrivi?
P: Il primo lavoro fu iniziato tre anni fa. Poi sospeso e ripreso l’anno scorso.

E: Dove possiamo seguirti? Scrivi in particolari siti o su un tuo blog o sito personale?
P: Scrivo quasi esclusivamente su ewriters.it

E: Perché scrivi di eros?
P: E’ il “ramo” più prolifico, raccontare storie legate alla sfera erotica è una cosa più semplice per me. Mi viene quasi naturale. Anche gli errori più frequenti per uno scrittore vengono mascherati; normalmente chi legge si eccita e lo stato di eccitazione sposta l’attenzione dagli eventuali errori grammaticali!!!

E: Quale ti aspetti sia il tuo pubblico?
P: Non saprei. Ma dai feedback ricevuti direi femminili per la maggior parte.

E: Quale genere erotico preferisci leggere?
P: Quelle storie che sono palesemente vere e dove lo scrittore in fondo fa poco per nasconderlo.

E: E di quale genere erotico preferisci scrivere?
P: Delle storie vissute da me o da qualcuno molto vicino a me.

E: Scrivi anche racconti, romanzi, poesie non erotici?
P: Le poesie sono quelle che mi attirano di più: le considero il veicolo principe per poter mettere su carta i propri sentimenti. Ci ho provato ma per scrivere con sentimento ho necessità di ritrovarmi in uno stato psicologico ben disposto a farlo. Ma non sempre mi ci ritrovo, ho un carattere che influenza molto il mio umore: definirmi altalenante credo sia un dolce eufemismo.

E: C’è uno autore in particolare che ami o a cui ti ispiri?
P: Adoro Ken Follett, Patricia Kornwell e John Grisham. Ma non mi ispiro a nessuno di loro.

E: Sai, il pubblico se lo chiede sempre: hai provato tutte le pratiche erotiche di cui scrivi oppure ci sono cose che descrivi di pura fantasia?
P: Non ho provato tutto e aggiungo un purtroppo. Alcune pratiche sono frutto della mia fantasia intrecciata dalle esperienze di chi le ha provate e raccontate

E: Ti ringrazio della piacevole conversazione e ora… godiamoci la lettura della tua opera che ci hai portato come omaggio….
P: Grazie a te per l’ospitalità e spero che il racconto sia di vostro gradimento!

"La scuola di ballo"

Premetto che la storia che sto per raccontare è ambientata a circa venti anni fa; lascio a Voi lettori decidere se sia frutto della mia fantasia oppure no.
Ero fidanzato con Elena da circa sette mesi, una bella storia d'amore di due coetanei ventenni studenti e squattrinati.
Elena era piuttosto alta, magra, bionda occhio verde con una terza di seno ed un bel culo in cima a due gambe da urlo, sempre vestita bene nonostante attingesse dal guardaroba della sorella, della mamma, delle cugina ed integrasse l'abbigliamento con poche cose comperate al mercato o sulle bancarelle, sempre alla ricerca dell'economia senza trascurare un certo stile. Il risultato era sempre ottimo, riusciva a carpire lo sguardo di tutti.
Sempre pronta all'avventura, Elena aveva un carattere solare ed allegro, gioviale, di compagnia, trascinatrice in gruppo ma romanticona in privato.
Molto brava a fare pompini, mi ripeteva sempre che per lei il sesso è orale, avrei potuto scoparla in tutti i modi ( ed in realtà lo facevo ) ma lei alla fine sempre in bocca lo doveva avere, solo così si sentiva veramente soddisfatta. E la cosa, naturalmente, non mi dispiaceva affatto. Da qualche settimana aveva incominciato ad ingoiare il mio seme, per mia grande gioia ed eccitazione.
Sua sorella Roberta era l'esatto opposto: alta più o meno uguale a lei era di due anni più grande, mora occhi neri e capelli neri lunghi, piuttosto rotondetta con un culo abbondante e due tette da spavento. Ho fantasticato tanto su quelle scollature ed elena non perdeva occasione di incazzarsi quando mi "beccava" con gli occhi nel reggiseno della sorella. Stava con un certo fabio, quarantenne divorziato, ed è inutile dire quanto questa relazione fosse causa di litigi con i genitori, vista la differenza di età ed il passato dell'uomo che sua madre in primis non riusciva a digerire. Roberta era molto incostante, caratterialmente chiusa ma a tratti esplosiva, lunatica oltre i limiti dell'immaginazione. Se la prendevi in buona ti dava l'anima, ma se aveva le palle girate diventava insopportabile.
Una sera ci ritrovammo tutti e quattro insieme ad altri amici comuni ad una festa di chissà chi e fra un bicchiere e l'altro Roberta salta su con una proposta: "sentite ragazzuoli, io e Fabio ci siamo iscritti ad una scuola di ballo, si balla salsa, baciata e latino americano in generale, perché non venite anche voi due?"
Io che al solo pensiero di ballare sto male rispondo subito "ma và, ma per piacere! Sono negato" ma subito Elena mi interrompe "perché no? Dai, ci si diverte!"
"ma sei fuori?" dico io di rimando "non vado a farmi ridicolizzare!"
Interviene Fabio, che dall'alto dei suoi 40 anni è un po' il capobranco "guarda che nessuno è bravo fra quelli che abbiamo visto. Anche io non sono un granchè però è bello muoversi insieme. Fossi in te ci ripenserei. In fondo è qualcosa di diverso, di molto sensuale" e si gira ammiccando verso Roberta che, invece, non fa una piega ma dal suo sguardo sembra aver raccolto una qualche allusione.
Elena mi guarda "con quel suo sorriso di chi ha già deciso" e mi dice "dai...non farti pregare! Almeno proviamo, no?"
"boh, non so...va bene, proviamo una volta. Però se non mi trovo, se l'ambiente non mi garba non insistiamo ok?"
"ok cucciolone!" e mi stampa un bacio alzandosi sulle punte e buttandomi le braccia al collo
"allora venerdì sera. ci troviamo tutti a casa delle fanciulle e andiamo con una macchina sola" dice Fabio con il suo solito tono risolutivo.
Tutti quanti noi annuiamo.
Arriva il fatidico venerdì, ore 21:00 parcheggio sotto casa delle sorelle, in lontananza vedo Fabio che scende dalla sua Audi A3. "Ciao bello!" mi urla agitando la mano. Io rispondo con un gesto del capo e lo aspetto davanti ai citofoni. Siamo praticamente vestiti uguali: ho seguito i suoi consigli e mi sono messo un paio di pantaloni di lino al polpaccio, scarpa sportiva e maglietta di cotone comoda.
"ciao! Allora sei pronto per la gara di ballo?"
"gara di ballo?" chiedo io "quale gara? Calma calma, manco so se riesco a tenere il ritmo!"
"scherzavo, dai! Non essere teso, guarda che ci si diverte!"
"spero tu abbia ragione....."
"fidati!" ed intanto citofona, poi si volta verso di me e mi dice sottovoce " ti spiace parlare tu? La suocera mi odia...."
"CHI E'?" si sente la voce gracchiante della donna resa ancor più gracchiante dal citofono
"sono Luca!"
"ah, si...Luca...ti chiamo Elena"
"grazie..."
Fabio si accende una sigaretta e porge il pacchetto verso di me. Ne sfilo una e la porta alle labbra, lui pronto mi offre l'accendino. Accendo, tiro, aspiro, sbuffo....."grazie..." gli dico. Iniziamo a parlare di calcio, io juventino e lui tifoso della Fiorentina, passiamo subito allo sfottò degno della migliore curva di Stadio.
Mentre ridiamo e scherziamo osservo Fabio: è alto circa quanto me, un bel metro e ottanta abbondante, ma è più robusto. Ha i capelli cortissimi, castani con una spruzzata di grigio qua e là, viso allungato e mento aguzzo, naso fine e due occhi nocciola molto espressivi.
Ha una bella bocca ma ciò che si nota di più è la fisicità in generale: spalle molto grosse, braccia possenti e pettorali palestrati, in più è molto villoso sul petto mentre io sono perfettamente implume.
Però non sono malaccio: di sicuro sono più magro ma nel complesso sono decisamente piacevole, sia fisicamente che come aspetto in generale. E poi i miei occhi, azzurro grigi e luminosi, sono decisamente più "assassini" dei suoi. Negli anni imparerò ad apprezzarmi al 100% ed allora, solo allora, mi renderò conto di quanto sia importante piacersi, ma questa è un'altra storia.
Le ragazze arrivano, vestite tutte e due col medesimo abitino striminzito ma di due colori diversi, verde militare per Elena e fucsia per Roberta, entrambe con minigonna nera e sandalo col tacco.
Gambe nude, spalle nude, capelli raccolti in una coda alta per Elena, sciolti al vento per Roberta, un'ondata intensa di profumo e la voglia di lasciar perdere il ballo e sbatterle contro il muro!
Scambio di baci fra coppie e poi tutti in macchina.
"andiamo con la mia" dico io " stiamo più comodi. Guido una Mondeo Station di 7 anni e lo spazio a bordo non manca, la coupè di Fabio è decisamente più indicata ad una coppia e non per 4 passeggeri.
Nessuno obbietta e dopo un attimo metto in moto mentre si chiudono le portiere Elena davanti con me, Roberta e Fabio dietro.
"possiamo fumare sulla tua macchina?" chiede la Roby "certo." Rispondo io asciutto.
Partiamo alla volta della scuola di ballo, ci vuole una ventina di minuti di tangenziale e poi qualche chilometro su stradina di campagna. E' un po' fuori mano ma la cosa non mi dispiace, mentre guido fantastico su dove ci potremmo fermare io ed Elena per fare "una sveltina", del resto appartarsi fra le campagne non è mai un problema.
Elena sembra leggermi nel pensiero e con un sorriso malizioso solleva un po' la minigonna facendomi intravedere l'intimo nero. La cosa non sfugge a Roberta che è seduta dietro di me con la quale incrocio lo sguardo inconsapevolmente nello specchietto retrovisore, quasi a volermi accertare che nessuno avesse visto. Roberta mi sorride palesemente compiaciuta dell'atteggiamento della sorellina, io mi sento avvampare e distolgo subito lo sguardo, ma in realtà la cosa mi piace.
Approfitto della cambiata quarta-quinta per lasciare la mano sul cambio e farla scivolare poi sul sedile del passeggero: con le dita solletico la coscia di Elena che non si ritrae, anzi divarica un po' le cosce. Do una occhiata furtiva staccando gli occhi dalla strada e vedo che la minigonna della mia ragazza è tutta alzata mentre si passa due dita sul pube celato alla mia vista dalle sole mutandine.
Mi sento avvampare di nuovo, la guardo in faccia: mi sorride e si passa la lingua fra le labbra.
Torno a concentrarmi sulla guida e, sempre per istinto, guardo di nuovo nello specchietto dove stavolta Roberta sorride apertamente, fissandomi. Mi scosto un pochino per inquadrare nello specchietto Fabio che sembra non dare peso a quanto sia successo, del resto non potrebbe aver visto niente.
Mi giro di nuovo verso Elena mandandole un bacio, lei apprezza e ricambia lanciandomene uno.
Siamo arrivati, parcheggio, scendiamo tutti e chiudo la macchina. Si sente la musica alta già dal parcheggio e ci sono altre coppie appena arrivate che si stanno dirigendo a piedi verso l'ingresso.
Elena mi cinge un braccio in vita, io le cingo le spalle; mi volto e vedo fabio e Roberta che si baciano appassionatamente mentre camminano.
"wow!"penso io " stasera le sorelline sono arrapate mica poco...."
La serata scorre piacevole e devo ammettere di essermi divertito: ho ballato con Elena, Roberta, con l'istruttrice di ballo ed altre cinque o sei donne, ma sempre senza malizia ed all'insegna del volermi lasciare andare. Sono piuttosto timido ed in questi ambienti non sempre mi trovo a mio agio.
In più occasioni, benché concentrato a dove mettere i piedi a ritmo, ho intravisto Elena ballare con Fabio: durante l'ultimo ballo, mentre io sono con altre 10 o 12 persone al centro della pista, li vedo allontanarsi insieme. La cosa mi ha messo un po' di ansia, del resto sono piuttosto geloso e mi riprometto di indagare al più presto.
Si finisce la lezione di ballo ( due ore....ho le gambe ed i piedi indolenziti!) e prima di uscire Roberta propone di berci qualcosa al bar che c'è all'ingresso.
Birra per me e Fabio, una acqua tonica per Elena e coca light per Roberta.
Ridiamo e scherziamo mentre io ho nella testa il tarlo di fabio; mi avvicino ad Elena e fingendo di baciarla sulla guancia le sussurro all'orecchio "cosa sei andata a fare con Fabio, prima?"
Lei si irrigidisce, poi si gira verso di me e candida come la pace mi risponde "niente!"
"sicura?"
"certo! Perché?"
"vi ho visti allontanarvi insieme, mi chiedevo dove foste andati."
"a fumare una sigaretta."
"ok"
"sei geloso?"
"un po'...."
"non ce ne è motivo...."
"potevi aspettare che io finissi il ballo e poi si andava io e te a fumare, no?"
"mi ha invitata lui, mi sembrava brutto dire di no. E poi scusa non ho fatto mica niente di male, è solo una sigaretta col ragazzo di mia sorella!"
"ok, ok....va bene"
Ci ricomponiamo, Fabio ci guarda "tutto bene, ragazzi?"
"si, si" risponde Elena, io abbasso lo sguardo. Maledetta gelosia.....
"sembrava foste li li per litigare" insiste Fabio. A questo punto, mi dico, la soddisfazione non te la do: ho capito che ti scoperesti volentieri la sorellina della tua donna, mica sono scemo. "tranquillo Fabio, siamo solo un po' cotti"
Elena si volta di scatto verso di me e mi bacia con forza, poi si butta sul mio collo e mi sussurra "scusa...."
La stringo forte, non c'è bisogno di aggiungere altro.
"cosa ne dite di fare serata al bowling? Sono solo le undici e domani si dorme" chiede Roberta
"per me va bene" dice Fabio "ok" da Elena.
Io tentenno, poi mi alzo e dico "andiamo!"
Tutti in macchina, tutti verso il bowling. Durante il tragitto Fabio e Roberta si stanno lasciando un po' andare, un po' tanto a dire il vero: è buio e faccio fatica a vedere bene ma sul sedile dietro si stanno spupazzando a vicenda. Roberta si è avvinghiata a lui ed il suo vestitino è salito quasi tutto, la minigonna ormai è una cintura e le scosciate si sprecano. Guido piano e passo più tempo con gli occhi nello specchietto che sulla strada; ad un certo punto Elena mi dà un pizzicotto sul braccio.
"ahia, cazzo!" urlo io. Elena mi guarda accigliata e mi dice "hai finito?"
Mi sento in imbarazzo anche perché dietro i due piccioncini si sono bloccati.
Poi la doccia fredda, Fabio si cinge verso i sedili davanti e mi dice "ti piaceva tanto lo spettacolino?"
Sono notevolmente imbarazzato, mi irrigidisco poi riesco a rispondere "tranquillo, fate come se foste a casa vostra!"
Scoppia una risata generale, ma Fabio non demorde "sicuro? Allora fermati al primo spiazzo che mi voglio mettere comodo"
"cosa vuoi dire?" chiedo io serio
"dai Fabio...." Roberta sembra volerlo dissuadere, ma lui è serissimo
"roby, perché no? Anche Elena ci starebbe."
Elena tossisce imbarazzata mentre si aggiusta maldestramente la minigonna tirandosi su sul sedile e guardando fuori dal finestrino.
"fermati, Luca. Li avanti c'è uno spiazzo, in fondo fra gli alberi prendi la stradina sterrata"
Io non rispondo ma intanto rallento. Guardo Elena "beh? Che faccio?"
"fai come dice, no?" risponde seccata.
" e fai come dico, no?" rincara la dose Fabio.
Cala il gelo in macchina: siamo tutti zitti, io rallento fino sotto i 20 orari, alzo i fari abbaglianti ed entro nello spiazzo; vedo la stradina e la imbocco. Guido piano su questa specie di sentiero, il buio davanti al muso è impalpabile e si vede solo una miriade di insetti volare. E' luglio, fa caldo ma non è afoso, è una serata bellissima per stare fuori, se non fosse per le zanzare più agguerrite che mai.
Ad un certo punto la strada mostra un bivio: mi fermo. "a destra" mi dice Roberta. Cazzo, ma allora ci siete già stati! La cosa però mi tranquillizza, mentre Elena è sempre rivolta verso il finestrino e non mi guarda. Mi chiedo cosa stiamo facendo però proseguo perché, in fondo, qualcosa ho intuito o semplicemente sono curioso da morire.
Vado avanti ancora una cinquantina di metri e il sentiero termina in uno spiazzo. Mi fermo e spengo motore e luci.
Non faccio a tempo ad aprire bocca che Fabio e Roberta hanno ripreso a pomiciare, lei ha già vestitino e reggiseno volati via e limona con fabio mentre mostra le tette al vento, due bocce bianche e generose che ballonzolano felici, lui si sta slacciando i pantaloni e dopo un secondo tira fuori l'uccello che Roberta prontamente prende in mano e comincia a segare piano senza smettere di limonare.
Rimango impietrito, divertito ed eccitato, mi volto verso Elena che, invece, è completamente girata verso il finestrino e di lei vedo solo la nuca. Non sapendo cosa fare cerco le mie sigarette, sto per mettermi a ridere, l'istinto mi porterebbe a prendere Elena per mano e scendere dalla macchina lasciando i due soli a fare le loro cose ma sono incomprensibilmente bloccato. Cerco Elena, vorrei capire cosa passa nella sua testa, cosa significhi per lei la situazione paradossale che si sta delineando. Mi volto di nuovo verso Fabio e Roberta giusto nel momento in cui lei si sta chinando per prenderlo in bocca: prima scappella il cazzo di Fabio, poi passa due tre volte la lingua lungo l'asta ed all'improvviso lo fa sparire in bocca, il tutto con un gemito di lui che pare gradire.
Sono bloccato, stupìto, eccitato ma impietrito per colpa di Elena che non lascia trasparire le sue intenzioni. Roberta continua imperterrita il suo pompino ma nel contempo mi fissa, mi fissa con gli occhi carichi di passione: la testa và su e giù, con una mano stringe il cazzo di Fabio e con l'altra si strizza un capezzolo.
Ho il cazzo in tiro da morire e finalmente Elena si degna di voltarsi: tiene gli occhi bassi, si spinge verso di me mettendomi una mano sul petto ed allontanandomi in modo da farmi appoggiare la schiena sul bracciolo della portiera, poi si volta verso i due seduti dietro sussurrando "ma che bravi". Intanto la sua mano scende verso la mia patta, io resto immobile e lei, con grande maestrìa, libera il mio uccello dai pantaloni e dall'elastico dei boxer. Non appena il fratellino è libero di respirare ci si getta sopra succhiandomelo come solo lei sa fare. In quel preciso istante guardo Fabio, forse per cercare la sua approvazione e scorgo in modo nitido il suo volto illuminato dalla luna che sorride e mi fa l'occhiolino.
Le due ragazze proseguono nel loro lavoro di bocca per qualche minuto mentre io mi accorgo che, forse per colpa dell'eccitazione del momento, sono già prossimo all'orgasmo. Elena lo intuisce e sapientemente rallenta nella sua opera. Roberta invece sta ansimando: mi giro di nuovo e la vedo a cavalcioni sopra di lui che sta scopandosi quel pezzo di carne come una cavalla imbizzarrita.
Elena si stacca dal mio uccello e si getta sulla mia bocca e mi trascina sul suo sedile: in un lampo si leva il perizoma e mi sussurra "scopami!"
"come? Non ci sto. O mi vieni in braccio tu oppure scendiamo"
"allora vieni da questa parte!"
Apro la portiera e di corsa mi porto sul lato passeggero mentre Elena ha spalancato il portello e le cosce e si stà massaggiando i capezzoli. Intanto Roberta si stà lasciando trasportare dall'enfasi dell'amplesso, ha iniziato con gli urletti ed ora grida "SIII, FABIO! SIII, SCOPAMI, SCOPAMI, DAMMELO TUTTO, FAMMELO ENTRARE TUTTO!!!"
Guardo Elena che gronda di sudore: ha sciolto i capelli e mi guarda con un'espressione mai vista e che mai dimenticherò. Appoggio il mio cazzo sulla sua fessura e spingo; la sua figa è già grondante di umori ed il mio cazzo non fa fatica a scivolare fino in fondo. Le stringo le gambe all'altezza dei polpacci ed inizio a pomparla forte, come piace a lei. Butta indietro la testa ed io impazzisco nel vedere le sue tette, una bella terza con due capezzoli rosa e turgidi, che ballonzolano sotto i miei colpi. Ansima, sospira, continua a ripetere "siii....siii..."
All'improvviso Roberta giunge all'orgasmo: una serie interminabile di rantoli, sospiri e frasi sconnesse; Elena sta per mettersi a ridere per aver sentito la sorella godere quando io esplodo il mio seme sulla sua pancia, con un orgasmo violento che mi sconquassa da dentro, spasmi fortissimi che mi piegano sulle gambe. Vado avanti a farmi una sega fino a che non esaurisco le spinte dopodiché mi allontano di un passo: in quel momento si apre la portiera posteriore e scende Fabio, con addosso solo le scarpe ed il cazzo duro e lucente di umori.
Mi dà una pacca sulla spalla e mi dice "cambio, dai!" allontanandomi dalla macchina e tendendo una mano ad Elena la quale si lascia aiutare per scendere dall'abitacolo.
Rimango immobile, ho i pantaloni alle caviglie e la maglietta sudata addosso, Fabio tira Elena verso di se e i due si baciano con passione.
"ma..."dico io, inerme e senza la forza di proseguire nella mia protesta. Fabio fa girare Elena su se stessa, la fa piegare sul cofano della Ford e si mette dietro di lei.
"aaaaaaaaaaaaahhhhhhh....." un gemito di Elena mi fa capire che Fabio è entrato, dove non so. Elena non mi ha mai dato il culo fino ad ora, dice di non averlo mai fatto ma inizio ad avere forti dubbi.
I due hanno preso il ritmo: Fabio le cinge i fianchi con le sue possenti braccia mentre la sbatte da dietro con forza, Elena si lascia scopare assecondando i suoi movimenti ed ansimando quasi con gioia.
Sento una mano toccarmi il culo: mi volto e Roberta mi guarda sorridendo "io sono qui....." mi dice.
Mi rivolto verso Elena che intanto è nel turbine delle sensazioni, anche la macchina ondeggia sotto i colpi di Fabio, mi giro verso Roberta e mi tolgo i pantaloni e la maglietta restando, come Fabio, con le sole Converse ai piedi. Mi butto su Roberta, ci baciamo con foga, le sua lingua è più ruvida di quella di Elena, mi sta spazzolando tutta la bocca. Mi stacco e mi butto a ciucciare i capezzoli, quelle due tette che da sempre volevo ciucciare. Roberta inizia ad ansimare, mi sollevo ed infilo il cazzo senza fatica nella sua vagina.
Iniziamo a scopare ma di tanto in tanto mi giro verso gli altri due, curioso di vedere cosa stiano facendo. Elena urla e si dimena, la conosco, è prossima all'orgasmo. Fabio la pompa senza sosta e le urla "ti piace? Lo vuoi? Lo vuoi il cazzo, vero?" a cui Elena risponde "siiiii....dammelo, siiiiii"
Roberta mi stringe e mi dice "mettiti sotto tu": mi sollevo, la faccio uscire dalla macchina e mi sdraio a pancia in su sul sedile posteriore. Roby mi cavalca a cosce aperte, le sue bellissime tette sono sulla mia faccia e le vedo ballonzolare mandandomi in visibilio.
Un urlo più forte degli altri sancisce l'orgasmo di Elena, poi il silenzio. Roberta sta ansimando, mi monta con ritmo e sento il mio cazzo che si sta già preparando al bis.
Ad un tratto si ferma "mmmmmh, proprio così?"
Io non capisco ma avverto la presenza di qualcun altro vicino a me. Poi Roberta fa una smorfia mentre io sono schiacciato sul sedile da un peso in più: Fabio la stava inculando mentre io la scopavo nella figa.
Roberta urla, un po' per il dolore e un po' per l'eccitazione mentre Elena entra in macchina dall'altra portiera posteriore ed inizia a baciare la sorella mentre le massaggia le tette.
Uno spettacolo incredibile, non so più cosa pensare, mi lascio trascinare dagli eventi.
Continuo a scopare Roberta mentre Fabio la pompa nel culo, Elena mi bacia e si masturba.
Roberta raggiunge un nuovo orgasmo, urlando e contorcendosi, quando Fabio esce dal suo culo sento anche io sollievo. Chiedo a Roberta di alzarsi, non ce la faccio più a stare in quella posizione, mentre intravedo Fabio fare il giro intorno alla macchina e dirigersi verso Elena. Le sussurra qualcosa all'orecchio poi si alza e chiama Roberta la quale si avvicina subito e si china davanti a sua sorella.
Infine si rivolge a me: "luca, vieni qui che ci godiamo lo spettacolo!"
Io cammino titubante verso di lui, giro dietro il posteriore della mia Mondeo e vedo Elena seduta sul sedile di guida con le gambe spalancate mentre Roberta, china davanti a lei, le sta leccando la figa.
"vieni, Luca, vieni a vedere le sorelline come sono brave" mi dice Fabio mentre si masturba il cazzo. Dopo un attimo di esitazione faccio altrettanto.
"bello, vero? Non c'è niente di più bello che vedere due donne fare sesso, vero Luca?"
"si, certo...."
"Roberta alzati un po', mostra il tuo splendido culo! " intima Fabio con tono perentorio che non ammette repliche. Roberta esegue: raddrizza le gambe e piega tutto il busto per andare avanti a leccare la sorella mentre con una mano divarica le natiche mostrando tutta la sua intimità.
"dai, Luca: inculala!"
"cosa?"
"non fare finta di non capire: scopala nel culo! Non vedi che lo vuole?"
Mi faccio avanti timido, ora il mio pene è durissimo al solo pensiero di scoparsi la sorella della mia ragazza, nel culo poi. Sputo sulla mano e mi inumidisco la cappella con la saliva, poi mi metto dritto dietro Roberta, punto il cazzo sul buchino e spingo deciso.
Al primo colpo non entra niente, al secondo sento affondare il mio cazzo nelle sue viscere, umide ed elastiche allo stesso tempo.
Spingo il cazzo fino in fondo, Roberta grugnisce e si stacca da Elena, ora la masturba con una mano mentre io la inculo e le afferro le tette da dietro.
"ti piace?" mi chiede Roberta. Io non rispondo e continuo a scoparla. Roberta si ritrae, lascia sfilare il mio cazzo, si volta e mi prende per mano "mettiamoci più comodi". Si dirige verso il cofano anteriore, si piega in avanti e si appoggia alla carrozzeria con i gomiti. "dai, vieni..." io mi rimetto dietro, impugno il cazzo e lo infilo nel culo al primo colpo.
Non ha fatto una piega, iniziando a dimenare le chiappe per agevolare il mio entrare ed uscire.
Accelero, spingo più a fondo, sto per venire: Roberta mi dice "aspetta, aspetta" si sfila il cazzo dal culetto, si abbassa davanti a me e mi spompina fino a farmi venire nella sua bocca, lasciando colare un po' del mio sperma sulle sue bellissime tette. Elena, che nel frattempo stava scopando di nuovo con Fabio, accorre verso la sorella e le lecca le tette ingoiando il mio sperma, poi le vedo baciarsi con passione mentre la sborra cola sui loro, visi, sul collo, capelli.
Sono sfinito, mi appoggio alla macchina: Elena viene verso di me, mi butta le braccia al collo e mi bacia. Riesco a distinguere il sapore e l'odore di Roberta e del mio sperma, siamo accaldati e sudati ma ci baciamo con passione e con ardore. Roberta intanto si è messa in ginocchio davanti a Fabio e sta succhiando avidamente il suo cazzo.
Passano i minuti mentre tutti e quattro riprendiamo fiato; il solito Fabio rompe di nuovo gli indugi "ed ora il gran finale!"
"cosa più di così?" chiedo io
"stai a vedere...."
Si avvicina a noi due, prende Elena per un braccio e la tira a se baciandola. Roberta si mette alla mia destra impugnandomi il cazzo e massaggiandolo piano.
Sono nuovamente scosso dalla gelosia ma non ho le forze di intervenire.
"ora entriamo nel culetto della bella Elena...." Dice Fabio con un ghigno sadico. Per me quelle parole sono una pugnalata ma non riesco a muovermi, Roberta intuisce la mia tensione, mi accarezza il petto e mi sussurra "tranquillo....."
"no dai, nel culetto no..." protesta Elena senza tanta convinzione. Intanto Fabio la rivolta e la fa appoggiare come Roberta era appoggiata poco prima con me, con i gomiti sul cofano motore e la schiena incurvata. E' alla mia sinistra, allunga una mano e stringe la mia.
"fabio no, dai...." Protesta ancora Elena, sempre meno convinta
"stai ferma..." dice lui divertito mentre armeggia dietro di lei cin il cazzo in mano, poi si solleva sulle punte e lo vedo spingere. Elena stringe la mia mano fortissimo mentre caccia un urlo bestiale: Fabio spinge di nuovo, e più forte di prima "ecco, ecco che ci sono! Sono dentro al tuo culetto, Elena, ti piace?"
"siiiiiii iiiiiiii iiiiiiiihhh"
Roberta cerca di baciarmi ma io la allontano: Elena mi stringe la mano ancora più forte
"hai visto Luca come si fa a rompere il culo ad una donna? Mettiglielo in bocca, dai!"
Io, succube e diligente, mi giro verso Elena e mentre lui le scopa il culo punto la cappella verso la sua bocca che, famelica, accoglie subito il mio cazzo di nuovo duro.
Roberta si lancia su Fabio, lo bacia mentre lui scopa Elena: l'amplesso dura circa due minuti, poi si sfila e mi dice "finiscila tu...."
Estraggo il cazzo dalla bocca di Elena, mi metto dietro ma Fabio mi ferma "sdraiati sul sedile, stai più comodo" mi dice.
Io mi metto sul sedile posteriore della macchina a pancia in su, Elena mi monta sopra dandomi le spalle, impugna il mio cazzo e se lo dirige dentro.
"mettitelo nel culo da sola" le ordina Fabio, dopo un attimo di esitazione Elena indirizza la mia cappella sull'orifizio anale e con altrettanta fatica lo lascia entrare dentro di lei.
Iniziamo a scopare mentre Fabio si pone sopra noi due: punta il cazzo sulla vagina di Elena e spinge.
Siamo andati avanti un paio di minuti a scoparla in due, poi Fabio si è alzato, ha preso Roberta per i capelli e spingendola verso il basso le ha sborrato in bocca. Elena si è sollevata da me, uscendo dalla macchina e lanciandosi sul cazzo di lui insieme alla sorella per assaporarne il nettare.
Sfiniti ci siamo calmati, poi abbiamo fumato una sigaretta, ci siamo rivestiti e piano piano siamo tornati a casa. Lungo il tragitto nessuno ha avuto il coraggio di parlare e giunti sotto casa Elena si è congedata da me con un bacio fulmineo mentre Roberta si è limitata ad un "ciao".
Fabio mi ha dato una pacca sulla spalla e si è diretto furtivo verso la sua Audi.
Dopo due giorni io ed Elena ci siamo lasciati.